L’Ecuador al voto nella paura
Il 9 febbraio, si è votato per le presidenziali in un paese travolto dalla violenza della criminalità organizzata e da un’oligarchia rapace che punta su Daniel Noboa, presidente uscente e responsabile di irregolarità di ogni tipo. A sfidarlo Luisa González del movimento progressista Revolución Ciudadana. Se Noboa si conferma al potere, l’Ecuador diventerà automaticamente una democratura.
Il 9 febbraio, in Ecuador si è votato per le presidenziali. Dei sedici candidati in lizza per Palacio de Carondelet, a meno di sorprese, i due che si giocheranno la vittoria sono il presidente uscente, Daniel Noboa, di ultradestra, e Luisa González del movimento progressista Revolución Ciudadana.
In questa tornata elettorale, che molto probabilmente si risolverà solo con il ballottaggio, si va configurando sempre più l’imposizione egemonica di una nuova oligarchia legata alla crescente esportazione di cocaina e al potere del crimine organizzato. Da tutto ciò, rileva l’Observatorio en Comunicación y Democracia (OCD) – Fundación para la Integración Latinoamericana (FILA) definendo l’Ecuador un “narco-stato”, ne deriva un’ulteriore accelerazione verso il disfacimento dello stato di diritto.
Luisa González, esponente del correismo, sfida di nuovo Noboa. Nel 2023 la candidata progressista fu sconfitta al secondo turno dal giovane esponente dell’oligarchia ecuadoriana che pure, al termine della prima votazione, si trovava in una posizione di svantaggio. Adesso González ci riprova, nonostante i media mainstream la attacchino quotidianamente e, secondo i sondaggi, debba recuperare almeno un 3% di voti rispetto all’attuale presidente. Sempre a sinistra, in corsa vi è anche Leonidas Iza, candidato indigeno per il Pachakutik.
La campagna elettorale, iniziata ufficialmente lo scorso 5 gennaio, è stata caratterizzata da molteplici episodi di violenza e da altrettanti abusi e attività illecite di Daniel Noboa, a partire dalla disputa contro la sua ormai ex vicepresidenta Verónica Abad, nei confronti della quale ha scatenato una vera e propria guerra giudiziaria (e misogina) e dal rifiuto del presidente uscente di dimettersi per poter fare propaganda elettorale che, al contrario, lo stesso Noboa ha condotto da capo di stato in carica.
Noboa si presenta come il candidato di quell’oligarchia agroexportadora dedita ad indirizzare l’economia tramite il crimine organizzato, ormai infiltrato in tutte le istituzioni dello Stato ed ha utilizzato come scusa la crescita del potere dei cartelli di narcotrafficanti per militarizzare la società sul modello del bukelismo in El Salvador. Tuttavia, nonostante la repressione di stato sia cresciuta, il paese ha il poco invidiabile primato di essere al terzo posto, in America latina, tra quelli con il maggior numero di morti ogni centomila abitanti. Inoltre, rispetto alle presidenziali 2023, quando fu ucciso, poco prima del voto, il candidato Fernando Villavicencio, poco è cambiato. Nel mese di gennaio, in piena campagna elettorale, è stato assassinato il sindaco di Arenillas, Eber Ponce, hanno subito attacchi armati il figlio dell’ex deputato della provincia di Guayas Jimmy Jairala ed è stata rapita la deputata del partito di governo, Yadira Bayas. Le rivolte nelle carceri, un altro problema finora ingestibile, non sono diminuite.
L’oligarchia utilizza la violenza del crimine organizzato per alterare l’istituzionalità elettorale tramite l’omicidio di funzionari statali scomodi, dai sindaci ai giudici e, in questo contesto, Noboa è tornato ad aprire le basi militari dell’Ecuador agli Usa, violando quell’articolo 5 della Costituzione che proibisce la presenza di basi di paesi stranieri sul proprio territorio, dichiarato “di pace” all’epoca del correismo.
Luisa González scommette, invece, su un modello di sicurezza che rispetti i diritti umani, punta su un’economia che non dipenda solo dal petrolio, intende rafforzare le università pubbliche e, in un paese che, soprattutto nell’ultimo periodo della presidenza Noboa, ha dovuto affrontare pesanti e lunghi black out elettrici, vuol dichiarare l’accesso all’energia elettrica come un diritto umano fondamentale.
Una nuova vittoria di Noboa trasformerebbe l’Ecuador in una democratura. Lo scorso 17 gennaio il presidente uscente ha vietato sei iniziative di legge già approvati dall’Assemblea nazionale, che ha parlato apertamente di golpe nei confronti delle famiglie ecuadoriane e dei gruppi più vulnerabili.
E ancora, fa discutere il conflitto d’interessi di Noboa, che, in piena campagna elettorale, ha ricoperto l’incarico di presidente e candidato. In particolare, il Código de la Democracia, totalmente disatteso da Noboa, vieta ai candidati alla presidenza di partecipare all’inaugurazione di opere o di presenziare ad altri eventi finanziati da risorse pubbliche una volta che si sono iscritti alla competizione elettorale. Di fronte all’utilizzo indebito di risorse pubbliche da parte di Noboa, la ex vicepresidenta Verónica Abad, a sua volta, lo ha accusato di esser responsabile di un colpo di stato, ma, per tutta risposta, nei pochi giorni che rimanevano prima delle votazioni, il presidente ha nominato una sua nuova vice spedendo Abad in Turchia in qualità di rappresentante diplomatica.
Su Noboa pesa anche il caso dei quattro minorenni arrestati due mesi fa da una pattuglia militare, desaparecidos per due settimane fin quando, il 24 dicembre scorso, non sono stati trovati i resti carbonizzati dei quattro giovani. Di fronte all’evidente tentativo del ministro della Difesa Gian Carlo Loffredo, di insabbiare il caso, la giudice che indagava sulla sparizione dei ragazzi, Tanya Loor, e i collettivi che hanno cercato di far luce sulla vicenda, sono stati pesantemente attaccati dal titolare del dicastero stesso poiché, fin dall’inizio, avevano accusato lo stato parlando apertamente di sparizione forzata.
Raúl Zibechi ha denunciato il rischio che l’Ecuador ai avvii a grandi passi verso una deriva autoritaria che, ogni giorno, si va inasprendo sempre più come dimostra lo stesso caso dei quattro giovani desaparecidos sui quali, inizialmente, la polizia, spalleggiata dallo ministro Loffredo, aveva addirittura garantito di non aver mai preso in custodia i giovani.
È in questo clima che il paese va al voto.