martedì 3 aprile 2018 - Riccardo Noury - Amnesty International

Israele, piano alternativo ai trasferimenti forzati di richiedenti asilo in Ruanda e Uganda? Forse…

Israele ha abbandonato il piano di espellere migliaia di richiedenti asilo eritrei e sudanesi verso Ruanda e Uganda.

Sulla decisione del primo ministro Benjamin Netanyahu hanno inciso le pressioni di un forte movimento di protesta della società civile e l’elevato timore che la Corte suprema, dopo averlo sospeso, avrebbe bocciato il piano.

L’alternativa era stata annunciata il 2 aprile, in una conferenza stampa: con la collaborazione dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, in cinque anni Israele avrebbe trasferito in paesi occidentali disponibili 16.250 richiedenti asilo eritrei e sudanesi. Un numero analogo avrebbe ricevuto un permesso temporaneo di soggiorno in Israele e sarebbe stato creato un organismo per migliorare le condizioni dei quartieri meridionali di Tel Aviv, dove vive il maggior numero di richiedenti asilo.

La notizia pareva rassicurante: i paesi occidentali offrono maggiori garanzie, rispetto a Ruanda e Uganda, di fronte al rischio del rimpatrio forzato nei paesi di origine. Questi paesi peraltro devono essere ancora individuati: poco dopo aver fatto il nome di Italia, Canada e Germania, la Farnesina ha protestato e le autorità israeliane hanno fatto marcia indietro: “era un mero esempio di paese occidentale”. Dopo, anche Berlino ha fatto sapere che non c’è alcun accordo in vista.

E a fine serata, Netanyahu ha sospeso tutto.




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