mercoledì 17 ottobre 2018 - Riccardo Noury - Amnesty International

Iran: Mohammad, un condannato a morte minorenne

Sei volte è stata annunciata la sua esecuzione. Sei volte, grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale, è stata sospesa.

Fortuna? O tortura? Entrambe.

Mohammad Reza Haddadi è entrato in carcere nel 2004, quando aveva solo 15 anni, giudicato colpevole di omicidio nel corso di una rapina, ancora minorenne e in violazione rispetto a quanto stabilito dalle leggi internazionali è stato condannato a morte.

In prigione, è diventato maggiorenne e ha iniziato a vedersi notificare date d’esecuzione. Dopo l’ultimo rinvio, ha presentato domanda per un nuovo processo. La Corte Suprema l’ha respinta. In vista, dunque, c’è la settima data d’esecuzione.

Come in moltissimi altri casi, all’inizio del processo l’imputato ha ritrattato la confessione resa dopo l’arresto. Sarebbe stato convinto dagli altri co-imputati ad auto-accusarsi in cambio di soldi e della (inesistente) garanzia che, in quanto minorenne, non sarebbe stato messo a morte.

Gli stessi co-imputati, in seguito, hanno ritrattato la parte della loro testimonianza relativa al coinvolgimento di Mohammad.

Nonostante l’Iran sia vincolato a rispettare il divieto di applicare la pena di morte nei confronti di minorenni al momento del reato, stabilito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, esecuzioni di questo genere si susseguono.

Dal gennaio 2005 Amnesty International ha registrato l’esecuzione di almeno 90 persone che avevano meno di 18 anni all’epoca del reatoCinque di queste esecuzioni hanno avuto luogo nel 2018l’ultima delle quali neanche due settimane fa.

Qui l’appello, promosso in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte del 10 ottobre, per salvare Mohammad Reza Haddadi.




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