martedì 16 novembre 2021 - Enrico Campofreda

India, comunalismo di fuoco

A fine ottobre la devastazione era passata per Tripura, Stato del nord-est indiano vicino al Bangladesh. I militanti, anche armati, della destra estrema hindu del Rashtriya Swayamsevak Sangh, Viswa Hindu ParishadHindu Jagram Manch che fanno della violenza, spesso assassina, la loro fede ammantandola del peggiore comunalismo esclusivista, avevano bruciato case, negozi e una quindicina di moschee. 

Nel mirino i musulmani locali, che pativano la vendetta per brutalità anti hindu compiute nelle precedenti settimane in Bangladesh. Una catena che si alimenta a ripetizione e va a colpire nei luoghi dove ciascuna comunità risulta minoritaria. Venerdì scorso le fiamme si sono spostate di duemila chilometri, nel Maharashtra, ad Amravati, città di piccole dimensioni per l’India, circa seicentomila abitanti. Lì alcune migliaia di musulmani hanno marciato chiedendo pace, ma covando in seno gruppi che poi si sono lanciati su negozi di famiglie hindu, saccheggiandoli. Immediata è seguita la ritorsione. Guidata direttamente dal partito di governo Baharatiya Janata Party che, tramite leader locali, ha convocato i sempre allerta militanti dell’hindutva, scatenati a loro volta e per l’ennesima volta nel vandalizzare gli esercizi commerciali avversari. Come spesso accade la polizia ha evidenziato tutta la propria inadeguatezza a controllare l’ordine pubblico, giungendo in forze solo ad azioni compiute, e facendo pensare alla tattica del lasciar sfogare la rabbia fra contendenti. Così i militanti dell’hindutva e i miliziani del fondamentalismo musulmano riescono ad avere campo libero nella propria furia, possono predicare e divulgare un confessionalismo radicale, metterlo in atto, scontrandosi in una sorta di guerra civile strisciante. Quest’orizzonte coinvolge anche cittadini che nulla hanno a che fare con l’estremismo. La loro unica colpa è appartenere all’una o l’altra fede ed essere conosciuti come tale.

Costoro, i propri esercizi, le loro case diventano obiettivo dei fondamentalisti. I più esposti risultano i commercianti, quelli minuti con bancarelle approssimative perdono poco, ma è un poco di guadagni già scarsi. Poi ci sono quelli appena un po’ più strutturati che egualmente non possono permettersi una vigilanza armata, che comunque in caso di tumulti nulla può oppure si dilegua. Gli attacchi riguardano le stesse abitazioni private e i luoghi di culto. Recenti testimonianze riferiscono assalti di manipoli d’una decina di attivisti, ma in certi casi addirittura di reparti d’una quarantina di elementi, che seguendo una precisa divisione di compiti sradicano portoni, distruggono elettrodomestici, frantumano strutture lignee e metalliche oppure le incendiano. La cittadinanza accusa la polizia per la totale inerzia, visto che quando le violenze erano in corso alcuni di loro hanno richiesto un intervento degli agenti per le strade. Ma sia venerdì, quand’erano in azione attivisti islamici, sia sabato e domenica con le scorribande alimentate dagli hindu, i poliziotti mobilitati in città risultavano solo alcune decine. L’instabilità del quotidiano va a minare la convivenza fra le comunità e gli organi preposti alla sicurezza evitano qualsiasi prevenzione. Di fatto è la politica a soffiare sul fuoco. E non tanto per immobilismo, al contrario per mobilitazione diretta. Fra i facinorosi fermati ieri – visto che, dopo due giorni di devastazioni, le forze dell’ordine domenica si sono adoperate a effettuare 72 fermi e arresti – fa bella mostra un ex ministro del governo locale appartenente al Bjp. E’ Anil Bonde che assieme al collega di partito Praveen Pote, scomparso dopo gli scontri probabilmente per evitare la cattura, ha organizzato l’arrivo in città delle bande armate dell’hindutva. Un’orda di seimila picchiatori che hanno predicato con spranghe e ordigni incendiari. 

Enrico Campofreda




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