venerdì 25 settembre 2020 - Enrico Campofreda

India-Cina, confronto glaciale

Un luogo severamente proibito e duro, dove resistere contro la natura è quasi più difficile che contro il nemico. Indiani e cinesi si fronteggiano attorno al ghiacciaio Siachen, con i suoi oltre cinquemila metri d’altitudine già definito il più alto campo di battaglia della terra.

 Gli indiani l’hanno occupato e costituisce assieme all’area più meridionale del Ladack un’altra, e sicuramente più difficoltosa, zona dove i due giganti asiatici sono contrapposti. Finora a suon di spranga. L’episodio sanguinoso, con venti vittime tutte indiane, risale al giugno scorso, ora i militari coinvolti nel pattugliamento sono decine di migliaia su entrambi i fronti. Col sopraggiungere della stagione invernale gli esperti di Delhi sono preoccupati per la tenuta delle proprie truppe non abituate a quei luoghi, assolutamente spopolati, e soprattutto a un certo clima. La differenza con un altro confine conteso, la linea di controllo (LoC) con il Pakistan, è sostanziale. Nei punti dov’è aumentato il numero dei militari impiegati nella contrapposizione ai reparti di Pechino, anch’essi cresciuti di numero all’acuirsi della crisi, il clima freddo mette paura. E’ una zona che varia dai 4200 ai 5400 metri di altitudine, un frigorifero naturale dove la temperatura raggiunge i meno quaranta gradi, per giunta è un luogo ventoso, e stare fermi all’aperto per tempi anche non particolarmente lunghi può causare congelamenti. Oltre all’ipotermia, a edema polmonare e cerebrale, altri pericoli possono provenire dall’esposizione ai raggi ultravioletti per la rarefazione dell’atmosfera. Mantenere uomini pur equipaggiati da montagna in quelle condizioni estreme, può produrre danni seri o letali. Le difficoltà non afferiscono esclusivamente a questioni climatiche, l’ambiente è ostile per tanti aspetti, la presenza di venti gelidi comporta anche il trasporto di materiale sabbioso che congelato diventa tagliente. Chi è in quelle condizioni deve proteggere adeguatamente ogni centimetro del corpo. I comandi indiano e cinese dovranno prevedere turni di guardia brevi, inevitabilmente aumentando la quantità di militari impiegati con tutte le conseguente logistiche del caso. Nel corso dell’estate è iniziato lo stoccaggio di vari materiale, compresi milioni di litri di carburante destinato a riscaldare i baraccamenti d’alta quota. 
 
Le condizioni locali impongono un vestiario protettivo del peso di circa otto chili, cui occorre aggiungere un kit di altri 18 kg, fra armi, munizioni e ulteriori strumenti operativi. La stampa di Delhi ha diffuso notizie che la tipologia d’abbigliamento necessaria ha reso necessarie commesse provenienti da aziende europee superspecializzate sui capi da alpinismo, una vera beffa per l’India fabbrica del mondo di tante merci. Ciò che preoccupa maggiormente i medici è la permanenza in un luogo tanto ostile non di atleti superallenati come gli scalatori delle pareti dell’Himalaya, bensì di uomini, seppure in giovane età, per lunghi periodi. Una scalata, accanto alla preparazione, ha i suoi tempi di durata e, imprevisti a parte, ha un termine. I pattugliamenti non richiedono performance in altura, però dureranno l’intero inverno, quindi fino ad aprile inoltrato. Pur ruotando, trovarsi a quelle temperature, talvolta in preda alle intemperie, può produrre serie alterazioni delle funzioni fisiologiche (disordini alimentari e quelli legati al ricambio) e addirittura vitali (pressione arteriosa, problemi respiratori e altro). Per tacere di possibili limiti di tenuta psicologica. Insomma il contrasto di confine pone un buon numero di militari dei due Stati a obbedire a ordini per controllare una fascia di territorio totalmente inospitale per chiunque e per non correre rischi di perdere unità si dovranno escogitare soluzioni. Inoltre interventi d’emergenza, ad esempio il trasporto in elicottero all’ospedale del campo base di soggetti bisognosi di cura, sono legati alla meteorologia e nei mesi invernali i forti venti di quella zona impediscono questi voli. Dopo i gravi incidenti di fine primavera, e dopo un iniziale irrigidimento delle parti che s’incolpavano a vicenda, le due nazioni hanno iniziato a parlarsi per provare a risolvere la controversia. Finora hanno inanellato sei incontri fra gli alti comandi. Si sono mosse anche le reciproche diplomazie che hanno sottoscritto a Mosca “cinque princìpi-guida” da applicare: non aumentare il numero dei militari impegnati, rafforzare la comunicazione sul terreno, rifuggire incomprensioni e valutazioni errate, astenersi da mutare unilateralmente la situazione sul terreno, evitare ogni operazione che possa complicare i rapporti. Il primo dei propositi risulta strategicamente il più importante. Però bisognerà fare i conti col comandante supremo dei luoghi: il generale inverno. 
Enrico Campofreda 



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