lunedì 5 maggio - Laura Tussi

In memoria di Alberto L’Abate, che a Firenze ha continuato la tradizione di La Pira, Don Milani e padre Balducci

Alberto L’Abate, sociologo, docente universitario, esperto di metodologia della ricerca sociale, è stato uno dei “padri nobili” della nonviolenza italiana. Amico e collaboratore di Aldo Capitini, si è spento nel 2017 nella stessa data del suo Maestro, il 19 ottobre.

di Laura Tussi su FARO DI ROMA

 

Era appassionato soprattutto di ricerca/azione. La sua caratteristica, portata avanti per tutta la vita, fino all’ultimo giorno, lasciando tanti progetti e impegni già assunti nella sua agenda, era proprio quella di ricercatore e attivista. Studiare e agire era il suo programma di vita. Lo ricordiamo con nostalgia mentre diamo conto di quanto nella sua Firenze si sta facendo contro il genocidio in atto a Gaza: Firenze spicca nel panorama di generale dimenticanza.

A otto anni dalla sua scomparsa, il pensiero e l’impegno di Alberto L’Abate continuano a vivere come riferimento etico e politico per le nuove generazioni. Al di là della sua cattedra di sociologia e delle sue ricerche sociali di grande interesse e valore, L’Abate è stato soprattutto un educatore e attivista per la pace, e in questa veste uno dei più coerenti e creativi interpreti italiani della nonviolenza attiva, incarnando fino in fondo quella linea “profetica” che, da Firenze, ha attraversato il Novecento con figure come Giorgio La Pira, Don Lorenzo Milani e padre Ernesto Balducci.

Formatosi all’incrocio tra le scienze sociali e l’impegno politico nonviolento, Alberto L’Abate ha saputo fondere in maniera originale la ricerca accademica con l’azione diretta. Professore di Sociologia dei conflitti all’Università di Firenze, è stato fra i primi in Italia a studiare e praticare forme di intervento nonviolento nei conflitti armati internazionali, contribuendo allo sviluppo del “peace research” e alla costruzione del Servizio Civile Internazionale e del Movimento Nonviolento.

Come La Pira, L’Abate ha concepito la politica come servizio alla pace e alla giustizia. Le sue missioni nei Balcani durante le guerre degli anni ’90, i suoi appelli contro la militarizzazione, e il suo sostegno alla difesa popolare nonviolenta, sono segni concreti di una fede civile radicale.

L’Abate ha sempre riconosciuto in Don Milani un maestro, tanto da promuovere studi, convegni e incontri su di lui, e soprattutto da vivere in prima persona il metodo dell’educazione come emancipazione. Nei suoi corsi universitari, come nelle iniziative sul territorio, ha cercato di coinvolgere gli studenti non solo come fruitori di sapere, ma come protagonisti di un percorso critico e trasformativo, ispirato alla pratica della parola responsabile.

Come il priore di Barbiana, anche L’Abate ha lottato contro le ingiustizie sistemiche, denunciando i meccanismi di esclusione e di obbedienza cieca, e invitando i giovani a “disobbedire” in nome della coscienza e della giustizia.

Con padre Ernesto Balducci, L’Abate ha condiviso non solo l’amicizia, ma un intero orizzonte culturale e spirituale: quello di un’umanità planetaria, capace di superare confini, ideologie e appartenenze per riconoscersi nella comune dignità. È stato attivo nel Movimento dei Beati Costruttori di Pace e ha promosso numerose campagne internazionali di resistenza civile, da quella contro la base di Comiso negli anni ’80 a quelle contro la NATO e la guerra in Iraq.

Entrambi hanno vissuto l’impegno per la pace non come attivismo sterile, ma come via spirituale e antropologica, convinti che senza un cambiamento profondo della cultura e dei cuori, nessuna struttura di potere potrà essere trasformata.

Oggi, nell’epoca delle guerre “infinite”, del riarmo globale e della crisi ecologica, la figura di Alberto L’Abate risuona con rinnovata forza. Le sue pratiche di azione diretta nonviolenta, la sua riflessione sulla “difesa popolare nonviolenta” come alternativa alla guerra, il suo insegnamento libero e controcorrente, rappresentano strumenti vivi per chi ancora sogna – e costruisce – un mondo diverso.

Come La Pira, Don Milani e Balducci, anche Alberto L’Abate ha seminato nella storia. E in molti, oggi, ne raccolgono i frutti.

Innumerevoli le lotte di cui è stato protagonista, dagli anni passati in Sicilia, con Danilo Dolci, alla lotta antinucleare a Montalto di Castro (fu anche denunciato e processato per l’occupazione dei binari); dall’ambasciata di pace a Pristina, agli scudi umani a Baghdad; dalla verde vigna di Comiso, contro l’installazione dei missili nucleari, fino al Parco della pace a Vicenza, per contrastare la base militare Dal Molin.

Attivissimo nel Movimento Nonviolento e nel MIR (ha partecipato anche alle due ultime assemblee nazionali di Roma e di Palermo) è stato fondatore dei Berretti Bianchi e fino all’ultimo presidente onorario di Ipri- Rete Corpi Civili di pace; promotore di corsi universitari per operatori di pace, gestione e mediazione dei conflitti, ha scritti innumerevoli saggi, libri, articoli sui temi della pace e della nonviolenza. Il rigore scientifico e la generosità nella militanza, erano sempre mescolati con una trasparente dimensione umana, di fratellanza e apertura, che lo facevano ben volere ovunque andasse a mettere in atto i suoi progetti costruttivi: in Kosovo come in Sicilia, in India come Sardegna. A Firenze era il punto di riferimento per le attività della Fucina della nonviolenza.

L’arte della Pace, il testamento morale di Alberto L’Abate (Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2014)

Amico e collaboratore di Aldo Capitini e Danilo Dolci, Alberto L’Abate è il principale fautore italiano della nonviolenza. Precursore dei Peace studies, ha fondato, presso l’Università di Firenze, il primo corso di laurea in “Operatori di pace”, insegnandovi “metodologia di ricerca per la pace”. “L’arte della pace” rappresenta la summa della riflessione di studioso di Alberto L’Abate, con la convinzione che per sconfiggere la guerra, il lavoro per la pace vada preparato e strutturato prima che la violenza deflagri.

Alberto L’Abate, in dialogo serrato con Galtung e i più accreditati studiosi dei conflitti, scrive il libro “L’arte della pace” che costituisce un’autentica pietra d’angolo e una illuminante stella polare per tutti coloro che ritengono opportuno attivare istituzioni internazionali per la pace, alternative agli eserciti, nella gestione delle situazioni di crisi, nel panorama geopolitico contemporaneo e nel promuovere innanzitutto la giustizia al fine di raggiungere l’obiettivo più nobile della riconciliazione tra le parti belligeranti e in conflitto, oltre la vendetta, tramite il perdono da parte di chi ha subito l’offesa e l’oltraggio.
Rocco Altieri nella prefazione al libro, intitolata “Interconnessione tra teoria e prassi”, sostiene che il volontariato non può da solo assumersi la responsabilità dell’impegno per la pace, ma è tempo di costituire istituzioni apposite e durature e di formare professionisti nel monitoraggio, nella mediazione e nella trasformazione dei conflitti, così che la pace diventi un lavoro permanente e altamente qualificato.

La pace deve essere finanziata e sostenuta in un’ottica di transarmo, ossia riducendo le spese per gli armamenti e le istituzioni belliche, abbandonando così la “difesa offensiva”, come quella attualmente utilizzata, con varie tipologie di ordigni come gli F35 e le B61, e passare invece alla “difesa difensiva”. Gli Stati e gli organismi internazionali devono dotarsi in tempo di strumenti adeguati per cogliere i primi sintomi delle crisi e agire tempestivamente per prevenire le violenze. Tutto il trattato “L’arte della pace” è una denuncia del fatto che gli Stati avrebbero da guadagnare in termini di efficacia e di bilanci in attivo, se finanziassero e promuovessero la pace e non la guerra. L’Autore utilizza gli insegnamenti di Sun Tsu, celebre autore del trattato “L’arte della guerra” e li interpreta in senso positivo per essere utilizzati nelle lotte nonviolente e per realizzare e attualizzare un contesto umano di prevenzione dei conflitti armati nell’assetto geopolitico contemporaneo.

Nel nostro Paese, per esempio, il governo Renzi, cosiddetto di “larghe intese”, non si mostrò sensibile alla necessità del disarmo e della riduzione degli armamenti e delle spese militari, sebbene il suo premier fosse stato sindaco di Firenze e sostenesse di ispirarsi a La Pira. Per L’Abate era assurdo che il mondo occidentale stia combattendo una guerra permanente al terrorismo, che invece di sconfiggerlo lo potenzia e lo alimenta giorno dopo giorno. È necessario impegnarsi per cambiare direzione alla globalizzazione, che è utilizzata attualmente dalle multinazionali per accrescere profitti, rinfocolando così il risentimento dei poveri, creando enormi divari economici, e invece pensare a una “nuova globalizzazione” per una politica di riequilibrio tra abbienti e meno abbienti, tra ricchi e poveri, per perseguire la giustizia e un nuovo modello di sviluppo equilibrato e sostenibile tra il Nord e il Sud del mondo.

Nel campo della ricerca per la pace – sottolinea L’Abate nel suo libro – sono previste tre tipologie di attività: il peacebuilding, il peacekeeping, e il peacemaking, ovvero la costruzione, il mantenimento e l’edificazione della pace. I servizi e le attività di pace, portati avanti da attori non governativi, comprendono l’aiuto alla comunicazione, il miglioramento della comprensione reciproca, lo scoraggiamento all’uso della violenza, la mediazione, il mantenimento della pace tramite l’interposizione, anche con l’aiuto di ambasciate e corpi civili di pace, con un compito di educazione politica, per condurre lotte nonviolente contro lo sfruttamento, l’ingiustizia e l’oppressione esercitate dai governi.

Per smontare i conflitti e trasformarli positivamente, Galtung – ricorda L’Abate – propone di agire a livello di empatia tra le parti, con la capacità di porsi nei panni dell’altro e di passare da comportamenti violenti a nonviolenti, prima in confronto e poi in dialogo, e infine cercare di superare le contraddizioni che inducono al conflitto, attraverso la creatività, sviluppando tutti i modi possibili per trascendere le conflittualità, tenendo in considerazione gli interessi e le esigenze di tutti. Sempre Galtung, rispetto al conflitto tra Israele e Palestina, accenna all’importanza delle persone, che in entrambi i campi avversi, non si identificano con la politica condotta dalla propria parte e cercano accordi con i loro corrispondenti nel campo avverso, che lui chiama “il sé nell’altro”. Uno dei più alti esempi di mediazione dei conflitti di questo tipo è condotto dalle “Donne in nero”, storica associazione che unisce le donne israeliane e palestinesi per una politica di pace da ambedue le parti in conflitto. La mediazione dei conflitti non ha spazio nella politica delle grandi potenze, a causa di una “cultura profonda” che giustifica la violenza e la considera necessaria nella politica internazionale, e che dovrebbe invece essere sostituita da una cultura vera e autentica basata sul rispetto dell’altro, della sua vita e del suo diritto di esistere, puntando sulla “forza più potente”, ossia la nonviolenza. Per questo è necessario un enorme investimento sull’educazione alla pace, intesa non solo in senso negativo, come assenza di guerra, ma anche in positivo, ossia come giustizia per tanti che ancora oggi soffrono la fame, la carenza di alloggi e lavoro, condizioni di vita e lavorative orribili, rischi di disastri ambientali e altro ancora. Non è sufficiente impegnarsi per prevenire le guerre, ma l’educazione alla pace deve servire alle persone per sviluppare la capacità di vedere le ingiustizie e comprenderne le cause.

Un mondo di pace ha bisogno per realizzarsi completamente e attualizzarsi concretamente di persone che abbiano il coraggio di andare contro corrente, anche se questo richiede sacrifici, condanne e denunce, attraverso il coraggio e la perseveranza nella giustizia e nella verità. E anche questo monito di perseveranza nella nonviolenza ha portato l’Autore, il Professor Alberto L’Abate, a costituire un fondo librario che è stato accolto presso la biblioteca di scienze sociali dell’Università di Firenze. Questi libri riguardano le varie materie approfondite durante gli studi svolti in Italia e all’estero e insegnate alle università di Ferrara e Firenze e nelle scuole di servizio sociale di Firenze e Siena e che spaziano dalla sociologia generale alle scienze politiche, dalla pedagogia alla psicologia.

Laura Tussi

 

L’arte della Pace
Libro di Alberto L’Abate
Prefazione di Rocco Altieri
Recensione di Laura Tussi
Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2014

 




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