mercoledì 29 novembre 2023 - Riccardo Noury - Amnesty International

In Arabia Saudita due minorenni al momento del reato rischiano l’impiccagione

In una lettera inviata a maggio ad Amnesty International, la Commissione saudita per i diritti umani aveva dichiarato che “l’applicazione della pena di morte sui minori per i crimini ta’zir è stata completamente abolitaI crimini ta’zir sono reati per i quali la legge islamica non prevede la pena di morte.

 

Invece, secondo informazioni di cui l’organizzazione per i diritti umani è venuta in possesso, la Corte suprema dell’Arabia Saudita ha confermato in gran segreto le condanne a morte di due minorenni al momento del reato: Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad (a sinistra e a destra nella foto) entrambi all’epoca meno che diciottenni, condannati solo per aver partecipato a proteste antigovernative. Manca solo la ratifica del re Salman perché si proceda alla loro impiccagione.

Abdullah al-Derazi aveva 17 anni al momento del reato. È stato arrestato il 27 agosto 2014 e condannato alla pena di morte dal Tribunale penale speciale il 20 febbraio 2018 poiché coinvolto nelle “proteste ad al-Qatif, per aver cantato slogan contro lo Stato e per aver causato caos”, “per aver partecipato ad una rete di comunicazione terroristica … che mirava a distruggere la sicurezza interna”, e “per aver attaccato ufficiali delle sicurezza con bombe Molotov”. Il ragazzo ha dichiarato alla corte che è stato tenuto in custodia cautelare per tre anni, durante i quali non ha avuto accesso alla rappresentanza legale. Secondo gli atti giudiziari esaminati da Amnesty International ha esaminato, ha detto al giudice: “Chiedo una valutazione medica indipendente per dimostrare le torture a cui sono stato sottoposto…i verbali dell’ospedale di Dammam, dimostrano che continuo ad essere curato a causa delle percosse sulle orecchie subite durante l’interrogatorio”. Il tribunale non ha indagato su queste denunce di tortura e l’8 agosto 2022 la Corte d’appello ha confermato la sua condanna a morte.

L’età di Jalal Labbad al momento del reato è incerta ma di sicuro non aveva più di 17 anni. È stato arrestato il 23 febbraio 2019 e condannato a morte dal Tribunale penale speciale il 31 Luglio 2022 per “aver partecipato a proteste e rivolte, essersi ribellato all’ordine pubblico, e per aver partecipato alla promozione e al canto di slogan che insultavano e incitavano contro i governanti durante i funerali di persone uccise dal servizio di sicurezza” e “per aver partecipato ad una rete di comunicazione terroristica che aveva l’obiettivo di danneggiare lo Stato attraverso: il rapimento e l’omicidio di un giudice, spari ad un ufficiale della sicurezza…e lancio di bombe Molotov a ufficiali della sicurezza”. Secondo gli atti giudiziari esaminati da Amnesty International, ha dichiarato alla corte di essere stato detenuto in custodia cautelare per quasi tre anni e sottoposto a torture fisiche e psicologiche tra cui “nove mesi e mezzo in isolamento in una stanza piccola e stretta”, “pestaggi” e “scariche elettriche su tutto il mio corpo, in particolare sui miei genitali”. Ha asserito, inoltre, che gli era stato negato ripetutamente un trattamento medico. Il 4 ottobre 2022 la Corte d’appello ha ratificato la condanna a morte.

L’Arabia Saudita è uno dei principali paesi esecutori di condanne a morte al mondo. Tra gennaio e ottobre di quest’anno sono state già eseguite 112 condanne a morte. Nel 2022 le esecuzioni erano state 196, il numero più alto registrato da Amnesty International nei precedenti 30 anni.

Qui l’appello di Amnesty International al re Salman affinché non ratifichi le due condanne a morte.




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