lunedì 13 maggio 2013 - Sergio Giacalone

Immagini dalla Sicilia

Fotografia di un’adolescenza difficile e di una maturità deviata.

Certe immagini d’impatto provocano un sorriso. Poi smetti di guardarle e le osservi; e il sorriso diventa amaro. Quando infine riesci ad ascoltare quello che ti raccontano il sorriso scompare, virando in una smorfia di dolore.

Questa è la Sicilia: dilaniata, strattonata fra un passato, un presente e un futuro che da noi hanno deciso di sovvertire le normali regole della successione temporale.

In Sicilia il presente non è il momento di verifica di una crescita progressiva iniziata nel passato e che ha nel futuro la sua nuova meta. No.

In Sicilia il presente è una sintesi confusa, un miscuglio letale, un’intricata accozzaglia di sentimenti, di nostalgie e di tentazioni che raccontano di una crescita “sbagliata”, di un’educazione “deviata”, di tappe bruciate prima di avere raggiunto la maturità necessaria a capire, interiorizzare e far fruttare al meglio gli strumenti che veicolano il futuro.

Ciò che è peggio è che i siciliani, per quanto se ne pensi male, non sono i responsabili originali di questa situazione, ma vittime, magari consapevoli, magari complici, come colpiti da una devastante sindrome di Stoccolma, ma pur sempre vittime.

Vittime di un’unità nazionale condotta con due velocità di marcia; vittime della viltà di una borghesia imprenditoriale settentrionale, incapace del coraggio di investire in una terra baciata da Dio per le bellezze e le potenzialità offerte da una natura straordinaria; condannati a subire l’ingombro di un passato antico di grandezza e civiltà incomparabili e per converso tenuti legati da un potere malefico che tutto pervade a pratiche antiche che non sono testimonianza di nobile tradizione ma spia di micidiale arretratezza. Quel potere malefico originato dal vuoto temporale dell’autorità statale ma finito a rappresentare una categoria di pensiero, il marchio caratteristico della sicilianità. Nulla di cui andare fieri.

Un popolo, insomma, costretto a fare i conti con un passato cui non è permesso di avere la sua sede naturale nella memoria e al contempo sfruttato come cavia per il più becero mercimonio tecnologico-futuristico, dal quale poi si pretende maturità nelle scelte politiche, rispetto delle regole della civile convivenza, padronanza dei meccanismi democratici e civiltà nella gestione degli spazi collettivi.

Credo sia il caso di smetterla di raccontarci balle e di mettere pezze ad un copertone troppe volte rammendato. Forse urge semplicemente un cambio gomme.




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