venerdì 5 ottobre 2018 - Damiano Mazzotti

Il vecchio e il nuovo scontro geopolitico delle civiltà

Il famoso saggio “Lo scontro delle civiltà” di Samuel P. Huntington è uscito nel 1996 e la sua idea portante diventa sempre più attuale, anche se forse si tratta di una profezia che tende ad avverarsi (edizione Garzanti del 2000, 479 pagine effettive).

Lo scenario del nuovo ordine mondiale indicato dal politologo americano più discusso degli ultimi anni sembra avverarsi quasi del tutto dal punto di vista demografico, dell’emigrazione, della democrazia e dei diritti umani. Ma naturalmente bisogna considerare che è diventato anche il programma politico di una corrente burocratica americana che promuove le guerre nel mondo.

I punti di crisi internazionali sono spuntati lungo il confine delle principali civiltà del pianeta. Esiste la popolazione occidentale europea cristiana e americana, la popolazione russa e ortodossa, la popolazione cinese, la popolazione indiana, la popolazione buddista e giapponese, la popolazione musulmana, la popolazione latina-americana, la popolazione africana non musulmana. Huntington non considera la micro civiltà ebraica, forse a causa delle dimensioni, forse per semplificazione…

La globalizzazione economica e la modernizzazione tecnologica non cambiano di molto questo vecchio quadro generale di due decenni fa. Le due problematiche principali sembrano essere ancora l’incontrollato sviluppo demografico dei paesi musulmani (soprattutto africani), e l’incredibile sviluppo economico, geopolitico e militare della Cina. In ogni caso molte nazioni seguiranno le principali decisioni politiche e militari degli “stati guida della propria civiltà” (p. 15).

Infatti “Uno stato guida può svolgere la sua funzione di tutore dell’ordine perché gli stati membri lo considerano culturalmente affine… Quando una civiltà è priva di uno Stato guida, il problema di stabilire l’ordine al proprio interno o di negoziarlo tra più civiltà si fa più arduo. L’assenza di uno Stato guida islamico che potesse legittimamente e autorevolmente fungere da punto di riferimento per i bosniaci, così come la Russia lo è stata per i serbi e la Germania per i croati, obbligò a questo ruolo gli Stati Uniti” (p. 226).

Inoltre “L’assenza di uno Stato guida islamico è uno dei principali fattori che spiegano i costanti conflitti interni ed esterni che caratterizzano l’Islam. La coscienza senza coesione è un elemento di debolezza per l’Islam e di minaccia per le altre civiltà” (p. 258). La nazione più adatta al ruolo sarebbe la moderata Indonesia, ma è troppo distante e multiculturale. Forse un Egitto più forte economicamente potrebbe diventare molto più influente. Per quanto riguarda la nuova egemonia cinese, probabilmente potrebbe rivelarsi utile: “ridurrà l’instabilità e la conflittualità in Asia orientale” e forse “costringerà gli Stati Uniti ad accettare ciò che storicamente ha sempre tentato di impedire: il dominio di una regione chiave del mondo da parte di un’altra potenza” (p. 351).

Dal mio punto di vista l’Europa e gli Stati Uniti potrebbero entrare in una fase di profondo confronto. In caso di guerra totale l’Europa potrebbe mantenere un ruolo di sostegno passivo non belligerante o di partner diplomatico. Una specie di Svizzera o di Norvegia di grandi dimensioni, che si troverà a mediare soprattutto con la cultura cinese e quella islamica, le due civiltà più radicate e quelle che si sentono profondamente superiori a tutte le altre (oltre a quella occidentale, appare più tollerante). Anche se il senso di superiorità caratterizza tutte le culture.

Comunque l’analisi generale e quella particolare sui conflitti balcanici del famoso politologo è molto illuminante. Forse l’aspetto più discutibile dell’analisi dello studioso americano è il non aver approfondito la divisione interna al mondo musulmano. Infatti la civiltà musulmana è fortemente a rischio di una guerra religiosa interna tra i fondamentalisti sunniti e i meno fondamentalisti sciiti (una minoranza più razionale, più modernizzata e più modernizzabile). Quindi l’Iran sciita potrebbe trovarsi nella condizione di dover combattere una dura contro quasi tutti gli altri Stati musulmani per mantenere la sopravvivenza economica e culturale, poiché si ritrova circondato da una maggioranza ostile di paesi sunniti che si affacciano sul grande e vitale nodo energetico e geopolitico del Golfo Persico. Con Israele che forse per la prima volta potrebbe non capire la cosa più giusta da fare, per garantire gli interessi degli ebrei israeliani e di quelli americani (e non solo).

La civiltà più indecifrabile è rappresentata dall’India, che non riesce a modernizzarsi a livello sociale a causa dell’antiquato sistema delle caste. Inoltre la mancanza di un controllo demografico potrebbe portare a una lotta intestina e religiosa tra induisti e musulmani fino a scatenare una guerra mondiale. Il Pakistan ha una crescita demografica estrema, possiede armi nucleari e non starà a guardare. Le prime grandi guerre di stampo etnico e religioso potrebbero finalmente far riflettere seriamente l’ONU sull’importanza della creazione di un team di persone in grado di promuovere l’insegnamento della gestione del controllo delle nascite in tutti i paesi del mondo.

Infatti l’identità delle grandi popolazioni umane non si basa più sull’ideologia politica o sul modello di economia, ma privilegia la lingua, la religione e gli schemi culturali allegati. Oltretutto per “i popoli intenti a ricercare un’identità e a reinventarsi un vincolo di appartenenza etnica, l’individuazione di un nemico costituisce un elemento essenziale, e i focolai di inimicizia potenzialmente più pericolosi scoppiano sempre lungo le linee di faglia tra le principali civiltà del mondo” (p. 14). Uno sguardo sui principali conflitti di ieri e di oggi supporta le sue riflessioni: www.atlanteguerre.it. L’ipotesi demografica spiega anche i gravi problemi interni del Messico. E purtroppo anche il Brasile sta percorrendo la stessa strada molto accidentata.

In conclusione “La possibilità di scongiurare una guerra globale tra opposte civiltà dipende dalla disponibilità dei governanti del mondo ad accettare la natura “a più civiltà” del quadro politico mondiale e a cooperare alla sua preservazione” (p. 15). In ogni caso “Se al livello globale, o macrolivello, il principale scontro di civiltà è tra l’Occidente e gli altri, al livello locale, o micro livello lo scontro è tra l’Islam e gli altri” (p. 379).

 

Samuel P. Huntington è nato nel 1927 ed è morto nel 2008. Ha insegnato alla Harvard University, è stato uno dei consigliere di Jimmy Carter, ha fondato e diretto la rivista https://foreignpolicy.com. Nel 2005 in Italia è stato pubblicato il saggio “La nuova America. Le sfide della società multiculturale” (Garzanti).

 

Nota – I conflitti in Bosnia e in Cecenia, in Medio Oriente e nell’Asia Centrale confermano la sua tesi: “In questo nuovo mondo, la politica a livello locale è basata sul concetto di etnia, quella a livello globale sul concetto di civiltà. La rivalità tra superpotenze è stata soppiantata dallo scontro di civiltà” (p. 17), anche a causa dell’enorme sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione di massa.

Nota aforistica – “Le guerre di comunità fermentano dal basso, gli accordi di pace piovono dall’alto” (p. 446); “Il commercio può seguire o meno la bandiera, ma la cultura segue quasi sempre il potere” (p. 124).

Nota sulla leadership statale e culturale - “Il crescente potere che la modernizzazione ha regalato alle società non occidentali sta portando in tutto il mondo a una reviviscenza delle culture non occidentali” (p. 125). Infatti gli appartenenti ad una civiltà non occidentale hanno bisogno di ricostruire e di riaffermare la propria identità. Se “la cultura e l’ideologia [di uno stato] sono attraenti, gli altri saranno più disposti ad accettare” la sua leadership, per cui il potere persuasivo è “altrettanto importante del potere di comando coercitivo” (Joseph Nye, https://joenye.com, p. 125, una sua conferenza la trovate qui: www.ted.com/talks/joseph_nye_on_global_power_shifts). Inoltre alla fine di tutti i conti “Il potere coercitivo genera il potere persuasivo” (p. 154).

Nota africana – Forse alcuni paesi dell’Africa del Nord a maggioranza musulmana entreranno in conflitto con alcune nazioni dell’Africa del Sud, non musulmana. Probabilmente scoppierà in Africa la scintilla iniziale della terza guerra mondiale, anche a causa delle gigantesche risorse minerarie di alcuni paesi africani. I minerali più preziosi sono le famigerate terre rare indispensabili nella fabbricazione delle armi più innovative e delle nuove tecnologie. Però è anche vero che sei civiltà stanno convivendo in Asia, e la legge delle probabilità indica che l’epicentro sarà probabilmente là.

Nota musulmana – “Il numero di conflitti tra civiltà che ha coinvolto i musulmani è tre volte superiore a quello dei conflitti tra civiltà non musulmane. Anche il numero dei conflitti scoppiati all’interno del mondo islamico è maggiore di quelli verificatesi nell’ambito di qualsiasi altra civiltà, compresi i conflitti tribali in Africa”. Inoltre i conflitti interni tra le popolazioni musulmane si sono dimostrate “particolarmente pesanti in termini di vittime” (p. 381). Fino al 1995 “gli Stati musulmani hanno fatto ricorso alla violenza nel 53,3 per cento delle crisi che li ha visti protagonisti”, rispetto al 17,9 per cento degli Stati Uniti e al 28,5 per cento dell’Unione Sovietica. Ma i cinesi sono risultati i più aggressivi e sono bravissimi a dissimulare: la Cina ha usato la violenza per affrontare “il 76,9 per cento delle crisi in cui è stata coinvolta” (p. 384).

Nota americana – Nel 1970 negli Stati Uniti erano presenti 100.000 musulmani, nel 2008 sono diventati 9 milioni, nel 2050 diventeranno 50 milioni. Nel 2050 alcuni paesi europei potrebbero avere una popolazione a maggioranza musulmana. Nel 2040 la popolazione musulmana potrebbe raggiungere la percentuale del 30 per cento della popolazione mondiale. Se il conflitto armato risultasse inevitabile, forse sarebbe meglio che esplodesse prima del 2050. Sarebbe molto meglio per noi occidentali e forse anche per la maggioranza dei musulmani e delle popolazioni di tutte le altre civiltà (www.huffingtonpost.it/2015/04/05/musulmani-crescita-2050_n_7006168.html).

Nota religiosa – Le religioni garantiscono “un senso di identità e orientamento nella vita” e stabiliscono una distinzione di fondo tra credenti e non credenti, tra un “noi” superiore e un “altro” diverso e inferiore (Hassan Al-Turabi). Però l’ultimo aspetto non riguarda la religione cristiana e quella buddista. In ogni caso “La re-islamizzazione “dal basso” è innanzitutto un modo di ricostruire un’identità in un mondo che ha perduto di significato ed è diventato amorfo e alienante” (Gilles Kepel, politologo francese, p. 135; “Oltre il terrore e il martirio”, Feltrinelli, 2009). Milioni di contadini degli innumerevoli villaggi del mondo sono stati proiettati nelle grandi città, sono venuti a contatto con i miracoli della scienza e della tecnica, ma anche con la freddezza urbana, la criminalità, la concorrenza spietata, la vera povertà. La religione ci tiene collegati al passato millenario e non rappresenta “l’oppio dei popoli, ma la vitamina dei deboli” (Régis Debray, p. 140, studioso dei media francese; “Il nuovo potere. Macron e il neo-protestantesimo”, 2018).

Nota demografica – In molti casi l’incremento eccessivo delle nascite in un gruppo etnico di una nazione può comportare grandi problemi quando la fascia di giovani dai 15 ai 25 anni si aggira intorno al venti per cento. In alcuni casi “l’espansione numerica di un gruppo genera pressioni politiche, economiche e sociali sugli altri gruppi e induce a contromisure. Cosa ancor più importante, produce pressioni militari su gruppi demograficamente meno dinamici” (p. 385). 

Nota storica – “Quasi tutte le civiltà non occidentali del mondo esistono da almeno un millennio” o alcuni millenni, e tutte hanno assorbito e riadattato conoscenze, usi e costumi di altre civiltà per migliorare la sopravvivenza della propria (p. 102). In genere le società non occidentali sono molto più comunitarie e “tanto gli occidentali quanti non occidentali indicano nell’individualismo la caratteristica maggiormente peculiare dell’Occidente” (p. 94). Comunque gli Stati Uniti dovrebbero considerare “la propria civiltà come peculiare, ma non universale” (p. 15), e dovrebbero promuovere l’insegnamento della lingua inglese nel mondo attraverso l’ONU, in modo da favorire tutte le comunicazioni ed evitare molte pericolose incomprensioni tra i lavoratori, i turisti, gli imprenditori, gli investitori e gli eserciti di tutto il mondo.

Nota finale –“Perché gli americani pensano che la conflittualità [la competizione tra opinioni, gruppi, partiti e aziende] sia un bene all’interno della propria società e un male nei rapporti tra società diverse, è un quesito affascinante cui, per quanto ne sappia, nessuno ha mai cercato seriamente di rispondere” (nota 23 a p. 325). Probabilmente gli Stati Uniti vogliono mantenere la loro supremazia indiscussa in ogni continente, in relazione a tutte le civiltà e a tutte le popolazioni.

Per un approfondimento video del 1993: https://www.youtube.com/watch?v=t2eRSQqSXn0. Per un approfondimento video critico: www.youtube.com/watch?v=aPS-pONiEG8. Per un video sullo scontro di civiltà in Francia: https://www.youtube.com/watch?v=SuBxInz1vng (maggio 2017).

Per leggere tre libri sullo stesso tema: www.agoravox.it/Guerra-pace-e-ingiustizie-L.html (2011); il saggio è stato scritto da Avishai Margalit, un filosofo israeliano che conosce molte culture e che ha scritto www.agoravox.it/Occidentalismo-l-Occidente-agli.html (2004) con https://ianburuma.com; “La santa ignoranza. Religioni senza cultura” (Olivier Roy, https://me.eui.eu/olivier-roy, docente e scrittore orientalista, Feltrinelli, 2017). 



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