mercoledì 6 aprile 2022 - Osservatorio Globalizzazione

Il pontiere Abramovich

Roman Abramovich è l’uomo del momento. L’oligarca russo alleato di Vladimir Putin, simbolo del rampantismo imprenditoriale dei magnati sbarcati nella City di Londra, la celebre “Londongrad”, a inizio Anni Duemila e colpito dalle recenti sanzioni occidentali è in prima linea per fare da pontiere tra la Russia e l’Ucraina.

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Il proprietario (uscente) del Chelsea è instancabile e dinamico, appare ovunque e in nessun luogo: si materializza a Gomel, in occasione dei primi colloqui di pace, fa la spola tra Israele, sua patria d’adozione, e Mosca, porta a Putin messaggi personali del nemico Volodymir Zelensky, da ultimo è comparso anche in prima fila al cospetto di Recep Tayyip Erdogan, gran cerimoniere della mediazione turca.

Noto al grande pubblico soprattutto per le attività nel mondo del calcio e l’immagine glamour di proprietario di yacht e resort, Abramovich è in realtà uno dei più realizzati agenti d’influenza russi dell’era putiniana, un oligarca “diplomatico” dotato di un eccellente sistema di relazioni interpersonali e oggigiorno cruciale sull’asse Israele-Turchia che rappresenta la più importante novità delle relazioni internazionali nell’era post-conflitto.

Il figlio prediletto dell’impero di Boris Berezovskij, “padre nobile” alla cui rovina ha contribuito, il patrono di Sibneft che ha guidato il nuovo matrimonio tra oligarchi e Stato nell’era Putin ha sempre giocato una partita propria. Vissuta separando le sue varie identità: quella del membro del jet-set, quella di imprenditore attivo in conglomerati che vanno dal nichel all’acciaio, quella del creatore di una human diplomacy legata anche agli stretti contatti costruiti nelle comunità ebraiche dei due Paesi oggi in guerra.

Abramovich è alleato di Putin senza mai esser stato organicamente putiniano; al mito del nuovo Zar e dell’Impero dei Romanov ha sempre preferito la tutela dell’Impero di Roman, il suo personale. Giocando su più tavoli, da Londra, ha costruito solidi legami nella finanza e nella politica. Ora media anche per evitare di perdere questi agganci, di essere travolto dalle sanzioni, per qualcuno per iniziare a gettare i semi di un futuro in politica ad alti livelli. Il Gulfstream G650ER del magnate russo è sempre in movimento tra le capitali interessate; la presenza vicino Erdogan ai colloqui russo-ucraini mostra che la sua pervasività è complessivamente in graduale consolidamento. Laddove gli apparati militari e d’intelligence sono dominati dai falchi più radicali nel sostegno al putinismo di guerra, il mondo degli affari si pone come mediatore e garante di un mantenimento della Russia nell’alveo della globalizzazione che, con ambiguità, Putin ha a targhe alterne incentivato. Il futuro della Russia nell’ordine globale è in bilico e Abramovich, artefice assieme ad altri di un matrimonio tra apparati economici e Stato che ha fatto scuola nel Paese, non vuole assecondare la narrativa del decoupling totale tra Mosca e l’Occidente. Guardando, in prospettiva, a un accreditamento internazionale: oggi chi vuole la pace cerca Abramovich, uomo che sussurra a Putin. Domani, potrebbe essere proprio quello del patron uscente del Chelsea il nome capace di mettere d’accordo le varie fazioni intente a definire una successione al putinismo ad oggi ancora avvolta nel mistero.

Foto Wikimedia




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