lunedì 17 marzo 2014 - Persio Flacco

Il dramma della Siria e il naufragio del Diritto Internazionale

Le elezioni presidenziali in Siria sono un possibile punto di svolta sia per il Paese mediorientale sia per la credibilità del Diritto Internazionale e delle sue istituzioni.

A tre anni dall'inizio del conflitto che ancora la insanguina la Siria si sta preparando alle elezioni presidenziali ai sensi della nuova Costituzione varata nel 2012.
Costituzione che ha posto un termine di 7 anni al mandato presidenziale: prima illimitato, e ha abolito il monopartitismo che fino ad allora aveva attribuito al partito Baath del Presidente Bashar al Assad il monopolio del potere.

Le ultime elezioni politiche, svoltesi nel 2012 e aperte alle candidature dei vari partiti politici, sono state boicottate sia dai rappresentanti delle opposizioni sia dai loro sponsor: il gruppo di Paesi nominatosi "Amici della Siria" del quale fanno parte gli Stati Uniti, alcuni Paesi europei tra chi Italia, Francia, UK e altri, insieme ad Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi islamici.

Sia per la situazione di emergenza che sta vivendo la Siria sia per l'astensione e il boicottaggio delle opposizioni combattenti, il risultato elettorale è stato una sorta di plebiscito a favore delle forze che sostengono l'attuale Regime. Cosa che inevitabilmente ha dato modo ai detrattori del Regime e ai loro sostenitori internazionali di definirle una farsa e di disconoscerne il risultato.

Con le prossime elezioni presidenziali si prospetta una analoga situazione e si prevede il medesimo risultato. Lakhdar Brahimi, inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la Siria, ha già espresso timori che le elezioni probabilmente comprometterebbero il cosiddetto processo di pace di Ginevra.

L'opposizione riconosciuta dagli Amici della Siria, opposizione che peraltro non è per nulla una realtà coesa, pone come precondizione, sia per la partecipazione sia per non boicottare le elezioni, l'uscita di scena di Bashar al Assad e la nomina di un governo di transizione concordato in sede di trattativa a Ginevra. Cosa sulla quale naturalmente non sono d'accordo né il Regime siriano né i suoi sostenitori interni ed esteri.

Quanto al terzo attore di questo tragico conflitto: quel coacervo di gruppi e gruppuscoli consistente in migliaia di integralisti di varia estrazione, alqaedisti, salafiti, mercenari ingaggiati dalle petromonarchie arabe, che in questi anni attraverso le compiacenti frontiere di Giordania e Turchia sono confluiti in Siria da tutto il mondo per combattere contro Assad, nessuno sa esattamente come si conterranno rispetto agli eventuali accordi ginevrini o rispetto alle elezioni. È lecito supporre che non si riconoscerebbero né negli eventuali accordi né tantomeno nei risultati elettorali.

In questa tragica vicenda, la cui principale vittima, va doverosamente ricordato, è la popolazione siriana, il futuro della quale è già pesantemente ipotecato dalla ormai avvenuta distruzione della coesione sociale e politica del Paese, a colpire l'osservatore neutrale sono alcune evidenti contraddizioni che minano la credibilità del fronte occidentale.

Innanzi tutto la dichiarata difesa della legalità internazionale. La Siria è uno Stato sovrano, è riconosciuto come tale dall'ONU, fa parte a pieno titolo della comunità internazionale, e il diritto internazionale proibisce l'ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano. Le uniche due circostanze in cui è giustificata l'ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, compreso l'uso diretto o indiretto della forza militare, sono la messa in pericolo della pace e della sicurezza mondiale e i gravi delitti contro la popolazione civile.

Nel caso della Siria a mettere a repentaglio la sicurezza e la pace, se non mondiale quantomeno regionale, non è stato il Regime, che da decenni convive pacificamente con le comunità di stati mediorientale e mondiale, bensì le forze insurrezionali, che l'hanno destabilizzato col supporto attivo di alcuni attori regionali e internazionali. Gli stessi che ora dichiarano di perseguire, e di voler garantire, la pace e la sicurezza.


Quanto all'ingerenza per gravi violazioni della sicurezza e dell'incolumità della popolazione civile, definizione che non si applica alle forze combattenti civili, il limite invalicabile è che l'ingerenza stessa non sia causa di danni maggiori di quelli che la popolazione civile soffrirebbe se l'ingerenza non vi fosse.
Avere supportato e sostenuto politicamente e militarmente le forze insurrezionali siriane ha sicuramente causato il prolugarsi di un conflitto che ha già fatto probabilmente molti più danni e vittime tra la popolazione civile di quante avrebbe potuto farne la repressione del regime.

In ogni caso non compete a chi rappresenta, o dice di rappresentare, la legalità internazionale attribuire o togliere legittimità al potere che governa uno Stato sovrano. Questo è anzi esplicitamente escluso dal diritto internazionale.

Può apparire cinico fare confronti basandosi sul numero delle vittime, ma è un fatto che la durissima repressione posta in essere da Hafiz al Assad, padre dell'attuale Presidente, contro i gruppi integralisti sunniti in seguito ad una serie di attacchi culminati in un fallito attentato contro la sua vita, causò dai 20.000 ai 30.000 morti. Il conflitto attuale, in cui alle fazioni ribelli è stato offerto supporto finanziario, organizzativo, militare da parte degli "Amici della Siria", ha già causato oltre 140.000 morti, milioni di profughi, distruzioni enormi in termini di beni privati e infrastrutture civili, danni irreparabili alla coesione sociale e politica del Paese.

È evidente quindi che nessuna delle due giustificazioni si applica al caso della Siria e che la comunità internazionale non ha il diritto di rivendicare il diritto di ingerenza negli affari interni della Siria.

Tuttavia, seppure non legittimata ad ingerirsi direttamente o indirettamente nel conflitto, la comunità internazionale, tramite l'ONU, ha il dovere di esperire ogni tentativo lecito per porvi fine, nell'interesse della pace e della sicurezza e della incolumità della popolazione civile.

Se queste sono le linee guida legalmente ed eticamente accettabili alla luce del diritto internazionale che la comunità internazionale dovrebbe seguire allora la sua fattiva presa di posizione in favore di una delle due parti in conflitto e contro l'altra è da considerarsi illegittima sotto ogni profilo. La comunità internazionale dovrebbe mantenersi neutrale rispetto alle parti in conflitto per essere un mediatore credibile e coerente con gli obiettivi dichiarati, non schierarsi per una contro l'altra.

Se perseguisse la composizione pacifica dello scontro la comunità internazionale dovrebbe assumere una posizione di equidistanza e dirigere tutti i suoi sforzi affinché le parti in conflitto accettino l'unico modo legalmente ed eticamente lecito per farlo: rimettere ai cittadini siriani la scelta dei loro rappresentanti attraverso elezioni libere e democratiche.

Ma è questo che vuole fare il regime siriano, ed è questo a cui si oppone chi dice di rappresentare la Democrazia, la Legalità, i Diritti Umani.

Da qui le evidenti contraddizioni tra le astratte dichiarazioni di principio e le azioni concrete messe in campo dagli Amici della Siria capeggiati da una parte dagli USA e dall'altra da Arabia Saudita e Qatar.

Contraddizioni che stanno contemporaneamente stritolando la popolazione civile siriana e la credibilità del Diritto Internazionale.



5 réactions


  • (---.---.---.250) 17 marzo 2014 16:43

    La Siria ed il suo Governo, oltre a vincere politicamente, stanno, in questo momento, prendendo punti sul terreno.
    Dopo Al-Qusayr nel giugno scorso, le le Forze Armate Siriane, assieme a militanti libanesi di Hetzbollah, hanno messo in fuga i contras da Yabroud.
    Se seguisse la pulizia della zona confinaria di Qualamon, tutto il confine tra Siria e Libano verebbe sigillanto al passaggio di armi e volontari dall’estero.
    Anche se non decisivo per la conclusione del conflitto armato, è, comunque, il modo migliore per presentarli all’elettorato alle elezioni del prossimo maggio.


    • (---.---.---.54) 17 marzo 2014 18:36

      una famiglia che ha imposto la sua perenne dittatura e il partito unico da un paio di generazioni, reprimendo brutalmente i primi timidi cenni di protesta della sua stessa popolazione (come aveva fatto pure il padre) deve essere allontanato dal potere: questa è la richiesta dell’opposizione ed è il minimo che si può condividere partendo da un punto di vista etico e politico. Il resto è fuffa.


    • Persio Flacco (---.---.---.43) 18 marzo 2014 20:49

      Purtroppo, chiunque la spunti, la destabilizzazione del Paese è già riuscita. Ed era a questo che puntavano i criminali contro l’Umanità che l’hanno promossa: a distruggere la coesione politica e sociale del Paese. E con la Russia isolata grazie alla crisi ucraina, dunque più soggetta ai ricatti, esclusa dai consessi internazionali, politicamente indebolita, alla Siria verrà a mancare parte della rete di protezione.

      E’ difficile per una persona sana di mente e con principi etici condivisibili credere che esista chi pianifica la distruzione di un Paese condannando la sua popolazione ad un futuro di violenza e di insicurezza usando la menzogna sistematica e la doppiezza. Eppure esiste.
      Dal 2005 la cricca neocon-sionista che stava dietro a G. W. Bush ha dato avvio al programma di destabilizzazione della Siria. Obama non lo ha fermato, benché il suo manifesto politico riguardo ai rapporti con i Paesi del Medio Oriente fosse di segno diametralmente opposto. Ora la lobby ha ripreso pienamente in mano il timone della politica estera degli Stati Uniti, e questo è il risultato.


  • (---.---.---.200) 17 marzo 2014 23:29

    Basterebbe che i paesi facenti parte della Nato smettessero di armare e finanziare migliaia di mercenari sauditu, yemeniti, libici, iraqeni ed afghani e la guerra in Siria e la guerra in Siria sarebbe finita.

    Alessandro Rossi


    • Persio Flacco (---.---.---.43) 18 marzo 2014 21:22

      << Basterebbe che i paesi facenti parte della Nato smettessero di armare e finanziare migliaia di mercenari sauditu, yemeniti, libici, iraqeni ed afghani e la guerra in Siria e la guerra in Siria sarebbe finita. >>

      Non sarebbe nemmeno iniziata.


Lasciare un commento