giovedì 8 dicembre 2011 - alfadixit

Il debito pubblico siamo noi

Malati di vittimismo i cittadini italiani hanno fatto la loro fortuna alle spalle dello stato, cioè del debito pubblico, anche se oggi, come figli ingrati, lo maledicono.

Oramai lo abbiamo sentito fino alla nausea; l’Italia ha uno dei maggiori debiti pubblici del mondo industrializzato. Un debito contratto in numerosi decenni di finanza per così dire “allegra”, figlia di uno stato generoso che ha distribuito a piene mani sul territorio benefici e prestazioni che forse non erano alla portata del sistema o, in altre parole, ha sostenuto un cospicuo welfare con debiti e cambiali confidando sulla crescita, sull’espansione del paese e del tenore di vita dei propri cittadini. Ma questo meccanismo oggi si è inceppato ed il peso del debito è diventato difficile da sostenere, lo stiamo scaricando sulle generazioni future. 

Ogni cittadino italiano, nessuno escluso ha, fin dalla nascita, una quota di circa 31.000 euro derivante dal debito pubblico. Ed è proprio per questa ragione che si sentono circolare sui media e nella rete opinioni che sostengono come, in definitiva, non sia giusto pagare il suddetto debito, una convinzione covata specialmente dalle giovani generazioni, ma non solo, che non vedono la ragione di pagare qualcosa da loro non contratto, di cui non hanno usufruito e che anzi li penalizza seriamente. Meglio il fallimento per ricominciare da capo, magari su basi diverse. Un ragionamento, mi permetto di dire, forse un po’ miope ed ingiusto perché non considera che, forse con sprechi, inefficienze, magari con privilegi ma di fatto, dello stato sociale, tutte le famiglie italiane ne hanno goduto da decenni e continuano a farlo.

Le scuole pubbliche, quasi totalmente pagate dallo stato, benché oggi un po’ zoppicanti, hanno sfornato milioni di diplomati e laureati che si sono egregiamente inseriti nel lavoro, anche a livello mondiale, senza alcun timore referenziale, anzi. Lo stesso dicasi per la sanità, i medicinali, l’assistenza, in gran parte gratuite. Ma, come noto, è il capitolo delle pensioni a farla da padrone. Abbiamo in Italia una schiera infinita di pensionati, milioni di persone a riposo che, se fossero vissuti in qualunque altro paese del mondo, sarebbero ancora al lavoro, e con un bel calcio nel sedere, altro che partita a bocce e pennichella. Basti pensare che una casalinga che non ha mai versato una lira di contributi, e percepisce una pensione seppur minima per circa vent’anni, costa alla collettività più o meno 130.000 euro, interessi esclusi naturalmente.

Un regalino che pochi paesi al mondo si possono permettere e che, ironia della sorte, è magari finito proprio a coloro che oggi rifiutano il debito pubblico. Tutte situazioni, come si vede, più o meno presenti in qualunque famiglia italiana e che hanno portato le finanze del paese sull’orlo della bancarotta mentre, al contrario, secondo un monumentale studio di alcune banche europee, è la ricchezza privata in Italia a stare bene, anzi benissimo tanto che la mediana procapite del nostro paese (115.000 dollari nel 2010) è seconda, in Europa, solo alla Norvegia (157.000 dollari), maggiore di quella inglese (79.000 dollari), francese (67.000 dollari) e tedesca (59.000 dollari). Siamo anche i cittadini meno gravati da debiti privati, 21.800 euro a testa contro i 30.400 dei tedeschi, 32.300 dei francesi e 41.600 degli inglesi.

Che ci piaccia o no, il debito pubblico siamo noi, chi più chi meno certo, ma nessuno è escluso, dai politici ai cittadini comuni nel debito dello stato abbiamo sguazzato, e con molto piacere anche. Eppure l’italiano medio, incline all’autolesionismo, piagnone di natura, fa fatica ad ammettere le proprie responsabilità, preferisce il vittimismo, fagocitato dal qualunquismo considera anzi lo stato come una sorta di arpia che vessa il povero cittadino giustificando così le ruberie dell’evasione fiscale, le frodi del “furbetto del quartierino”, sempre pronto ad incolpare qualcun altro delle proprie miserie, pensando con ammirazione e molto provincialismo che l’erba del vicino è molto, ma molto più verde della nostra. I numeri, come si vede, sono però ben diversi.

Eppure nel corso della nostra storia di bufere ne abbiamo viste molte, abbiamo dovuto spazzare grandi cumuli di macerie e lo abbiamo fatto con la forza del sacrificio, dell’entusiasmo, della lealtà, dell’onestà, del lavoro, fino a realizzare il grande paese in cui siamo, risorto proprio sulle macerie della guerra. A noi tocca però un compito ben più difficile di allora perché adesso le macerie sono dentro, sono le macerie del collante sociale distrutto dall’individualismo sfrenato, dalla mancanza di senso dello stato, dall’illegalità imperante, sono le macerie dei valori fondanti della nostra democrazia squassati dalla propaganda, dalla bassezza morale di cui si è permeata la nostra società, fino al midollo. Chi vive in una discarica non ne sente la puzza, si abitua, e così ci siamo abituati a vivere senza valori, nutrendoci dell’imbecillità dai media, della pubblicità asfissiante, ci siamo abituati a vivere nella società dello spettacolo e di essa ne siamo diventati sudditi senza neppure rendercene conto. Questa è la vera emergenza, la questione economica, in fondo, è solo un’appendice.



1 réactions


  • (---.---.---.54) 2 gennaio 2012 17:41

    Cosa si può dire. Parole Sante! Del tutto condivisibili e che fotografano l’Italiano Medio che ha eletto per ben tre volte come Presidente del Consiglio un ignobile personaggio che però ne era la sua immagine e somiglianza.

    La rinascita dell’Italia è appesa ad un filo. Deve partire dai giovani, dalle scuole, dalle famiglie dove si deve insegnare in primo luogo il rispetto della Legge e delle Istituzioni, sempre e comunque.

    La Legge può anche essere sbagliata e per questo si può modificare, ma fino a quando esiste ed è vigente la si deve rispettare.

    Le Istituzioni possono essere - come lo sono state fino ad un recente passato - occupate da personaggi impresentabili, ma devono essere parimente rispettate perché espressione della democrazia costruita sul sangue di intere generazioni.


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