martedì 14 maggio - Marco Barone

Il caso di via Sant’Ambrogio di Monfalcone

Un tempo via del Duomo, o del Teatro, oggi via Sant'Ambrogio che porta lo stesso nome del duomo consacrato dopo i disastri della prima guerra mondiale nell'ottobre del 1929, pur senza il campanile che dovette attendere la fine degli anni '50 per essere battezzato. 

Una via che nel corso della sua storia è sempre stata da transito di merce e persone e che è diventata negli ultimi tempi il teatro dello scontro identitario di una Monfalcone alla ricerca del proprio equilibrio sociale. Perchè è evidente che a Monfalcone, terra di passaggio, da quando è diventata grazie ai Cosulich città dei cantieri, per questo contesa dal regno d'Italia all'Austria, per privarla dei suoi cantieri insieme al porto triestino, ha conosciuto quelle dinamiche proprie delle città portuali. Gente che viene, gente che va. Approdo e partenza di nuove identità. Dal Sud Italia, all'Asia, passando da quel centinaio di nazionalità che a Monfalcone stanno cercando il proprio equilibrio, ognuna nella propria dimensione. Gli albanesi, con gli albanesi, i rumeni, con i rumeni, i nigeriani, con i nigeriani, i bengalesi, con i bengalesi e si può continuare. Una piccola scatola cinese che può crescere solo verso l'alto,ve non più espandersi in larghezza, se il tempo lo consentirà, salvo rivisitazioni di processi amministrativi che porteranno alla fusione dei comuni ed alla creazione della città del Mandamento. Da un lato in quella via trovi l'icona di D'Annunzio, a rimarcare l'italianità fantomatica assoluta di Monfalcone, dall'altro, hai una realtà che tra Allahu akbar, che hanno fatto il giro d'Italia, piccoli market bengalesi tutti uguali, e qualche altra attività tradizionale che permane, si devono fare i conti con una via che è diventata chiaramente lo scontro politico di questi tempi. Divieti, ordinanze, controlli serrati, ordine e disciplina, ma le regole del libero mercato, hanno prodotto in quella via un chiaro cortocircuito. Mentre la parallela corso del Popolo si deprime, anche se dall'altro vengono poste delle opere d'arte interessanti, che elogiano la nudità e l'originalità dell'ingegno umano, dall'altra parte vi è una via che è come un ramo del fiume che confluisce poi nel mare di quella che un tempo fu piazza Grande, così si chiamavano le piazze centrali delle città sotto l'Impero Asburgico, oggi piazza della Repubblica. Un fiume di persone, non carsico, perchè a Monfalcone si vedono, sono presenti, non sono invisibili, che dopo le fatiche ed il sudore del cantiere, vivono quella dimensione che è tipica dei popoli del Sud, le piazze. Piazze contenitori, senza panchine, piazze vissute da quella componente sociale ed etnica monfalconese che ha conquistato con le leggi del mercato italiano che lo hanno consentito via Sant'Ambrogio. Via che ha oggi questa identità e che l'icona di D'Annunzio, altro non diviene che la banalizzazione di quel nazionalismo identitario che a Monfalcone in via Sant'Ambrogio la sua battaglia l'ha persa in modo clamoroso. Ciò non significa che sia un bene estasiante accettare lo stato in cui in cui si trova oggi quella bella via storica monfalconese, ma si tratta di una semplice constatazione di fatto e rappresentativa dello scontro politico in corso da tempo, l'unica certezza è che la legge in quella via prima di tutto la detta il libero mercato e non sicuramente il "nostro" passato, in questo caso, effettivamente superato dalla realtà di oggi giorno.




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