venerdì 10 gennaio 2014 - Aldo Giannuli

Il caso Fiat-Chrysler

Rullo di tamburi, squillo di trombe: evviva! La Fiat ha comprato totalmente la Chrysler e ad un nono di quello per cui l’aveva comprata il predecessore e al di sotto della previsione più bassa: Marchionne è l’Alessandro Magno dei negoziati finanziari. Ora la Fiat si rilancerà nel Mondo, investirà nell’Alfa, utilizzerà le reti commerciali Chrysler nelle due Americhe, dilagherà in Cina. È una vittoria dell’auto italiana nel mondo. Siamo sicuri?

Pensiamoci su. In primo luogo, siamo proprio convinti che sia un buon affare? Di solito, quando si spuntano prezzi così particolarmente favorevoli è perché il venditore ha fretta di concludere e questo può voler dire che l’affare è meno vantaggioso di quel che sembra. Di fatto, da Torino usciranno solo 1, 7 miliardi di euro ed il resto è compensato dalla stessa Chrysler, che, però, in questo modo, si copre di debiti. Ma vedremo in futuro cosa verrà fuori.

Quello che è sicuro è che la partita finanziaria non sarà uno scherzo: la Fiat ha una liquidità disponibile di circa 20 miliardi di euro, contro i quali ha un debito industriale netto di circa 10 miliardi, poi deve trovarne altri 8 per gli investimenti di questo anno e, soprattutto, si accolla il leso delle pensioni dei dipendenti Chrysler che non è uno scherzo (negli Usa non esiste un sistema pensionistico pubblico e la pensione è pagata dalle aziende di provenienza del lavoratore). Lo stesso Marchionne ha ammesso che la Fiat è oggi il gruppo automobilistico più indebitato del Mondo. E lo stesso Marchionne, nel recente passato, ha detto che la quota di sopravvivenza per un gruppo automobilistico globale è di almeno 6 milioni di auto vendute ogni anni. Con la Chrysler supera di poco i 5 milioni, per cui deve far un ulteriore sforzo per conquistare il livello di sicurezza.

Certo, è possibilissimo che ce la faccia e che alla fine l’acquisto della ditta di Detroit si riveli davvero un affare, ma questo non è garantito e la strada non è né facile né breve.

Potrebbe esserci un aumento di capitale per l’azienda torinese (anche se gli interessati per ora smentiscono) ed è plausibile che possano esserci investitori interessati. In primo luogo è presumibile che interverrà l’Exor della famiglia Agnelli, che è l’azionista di controllo della Fiat, ma è realistico che questa potrà colmare un terzo o poco più del fabbisogno, anche per mantenere la percentuale attualmente detenuta. Per il resto occorrerà trovare altri e va detto che siamo in una fase di scioglimento dei patti di sindacato, del sistema di partecipazioni incrociate e di tutti quei meccanismi che hanno retto il nostro capitalismo nazionale; per cui occorrerà vedere anche fra gli investitori internazionali chi accetterà di sottoscrivere questo aumento di capitale e, soprattutto, a quali condizioni. E questa è un’altra partita che si apre e che occorrerà vedere come andrà.

Per ora la partita finanziaria è filata liscio: anche Fitch ha dato un giudizio positivo non peggiorando il rating precedente, nonostante la forte esposizione debitoria, e la borsa ha premiato con un +16% le azioni Fiat. Per capire quanto l’operazione sia effettivamente andata in porto occorrerà attendere almeno sino alla fine dell’anno.

Quello che, invece convince meno è proprio l’aspetto strettamente industriale della faccenda: la conquista dei nuovi mercati per ora è un progetto da realizzare e, per il momento, quello su cui si può fare affidamento è la non travolgente ripresa americana e lo striminzito +1,4% di vendite auto in Italia rispetto all’anno scorso. Il che non è davvero molto.

Soprattutto, data l’esposizione debitoria attuale, diventerà arduo trovare le risorse per nuovi investimenti ed usare la liquidità generata in Usa per investire in Italia “rischia di rivelarsi un’operazione politicamente tutt’altro che facile” come scrive Fubini su Repubblica.

Dunque non ha torto Guido Viale a dire che nell’accordo c’è molta finanza e poca industria, che la prospettiva di un rilancio dell’azienda in Italia sono assai poche e che, semmai, la Fiat diventerà un’appendice della Chrysler, cui sarà affidata la produzione di Jeep, Freemont e Suv come già sta accadendo per lo stabilimento di Melfi. C’è chi, come Giuseppe Berta (storico di impresa che ha molto studiato la Fiat) ritiene che saranno i marchi Alfa e Maserati a sostenere la ripresa Fiat utilizzando il supporto Chrysler, ma resta il problema di dove trovare i capitali da investire in questa direzione.

È opportuno ricordare (al momento in cui scriviamo) che non è ancora stato deciso se la sede centrale del gruppo sarà a Torino o a Detroit e la cosa non è di secondaria importanza. Peraltro, è lecito ipotizzare anche scenari meno favorevoli. Ad esempio, che almeno una buona parte degli stabilimenti Fiat italiani possano essere declassati come produttori di componentistica per la Chrysler o che, nel caso gli interessi sul debito dovessero farsi insostenibili, Marchionne ed Elkann possano far ricorso alla ben nota pratica della “creazione di valore” facendo spezzatino dell’antica casa madre torinese.

Ed allora dovremmo chiederci se è la Fiat che si è presa la Chrisler o sono gli Usa che si sono presi la Fiat.



1 réactions


  • (---.---.---.150) 11 gennaio 2014 18:25

    Ma tanto saremo noi a pagare i debiti.


    Con la scusa della ripresa cominceranno a ricattare, ventilando possibili chiusure di fabbriche in Italia o seri ridimensionamenti del personale... e il governo italiano sborserà soldi per la ripresa della fiat e scongiurare i licenziamenti. Soldi che andranno in America a puntellare la Chrysler, alla faccia dei dipendenti italiani che ancora sognano investimenti fiat in Italia.

    Del resto è quello che la Fiat ha sempre fatto: prendere soldi dallo Stato per aprire fabbriche nel meridione e assumere, spostando linee di produzione, salvo poi non rispettare i patti. O acquistare Alfa Romeo e si sa come è andata. 

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