mercoledì 29 gennaio 2014 - soloparolesparse

Il capitale umano, un grande Virzì

L’ho letto scritto da più parti e direi che mi sento di confermarlo: probabilmente Il capitale umano è il miglior film che Paolo Virzì abbia fin qui realizzato (ed io che son di Torino mi chiedo come abbia fatto a mettere insieme un film così potente mentre era direttore del TFF). E la cosa curiosa è che il buon Paolo questa volta si allontana questa volta in maniera decisa da quanto fatto finora, come si allontana (ed anche questa è cosa rara) dalla sua Toscana e dal suo dialetto.

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Il capitale umano è a tutti gli effetti un giallo, ma è un giallo decisamente atipico perché il mistero, gli aspetti da indagare, il colpevole da scoprire, arrivano quasi parallelamente alla vicenda raccontata. Ne sono allo stesso tempo il fulcro ed un aspetto secondario, di contorno, un evento distrubante nella vita (squallida, bisogna dirlo) dei protagonisti.

Seguiamo le vicende di due famiglie, quella ricca e “arrivata” e quella che aspira ad arrivare ed il cui padre non ha remore a cercare in tutti i modi di entrare nelle grazie dell’amico (che poi, naturalmente, amico non è).

Le due famiglie sono legate dal rapporto tra i figli adolescenti, compagni di scuola e fidanzati.

In questo crogiuolo di nullità, in questo quotidiano di mancanza di umanità, arriva un incidente, un ciclista investito e non soccorso. E lo spettatore (come molti dei protagonisti) non è a cosnoscenza dell’investitore.

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Però lo scoprirà, pian paino, seguendo la storia, lasciandosi guidare dall’abile mano del regista. Sì, perchè Virzì ci gioca eccome su questa storia e ci porta a soluzione solo quando decide lui, solo dopo averci raccontato la vita dei protagonisti ed averlo fatto più volte e da diverse angolature. Nel senso che per tre volte la storia ricominicia, ogni volta la stessa, ma ogni volta raccontata da un protagonista diverso

Ed il giochino è funzionale, certamente per il mistero, ma soprattutto per farci conoscere i personaggi, quello che pensano, quello che vogliono e soprattutto (qui il pezzo forte) come sono visti dagli altri protagonisti.

A dare una mano al regista nel tirar fuori un film splendido sono le possenti interpretazioni dei protagonisti. Da Fabrizio Bentivoglio a Fabrizio Gifuni, a Valeria Bruni Tedeschi, a Valeria Golino tutti danno spessore ai loro personaggi (ma non dimentichiamo che spesso capita che gli attori nei film di Virzì facciano un figurone, e questo qualcosa vorrà dire).

E partendo dai personaggi veniamo al secondo aspetto del film. Una serie di protagonisti tristi, brutti, cattivi. Figure negative che pensano solo al successo (ma un successo che con evidenza appare subito fine a se stesso). Persone che si annullano per ambire al niente.

A salvarsi sono in fondo il personaggio della Golino (che però è il meno presente) e i due (anzi tre) ragazzi (e a proposito, anche Matilde Gioli è molto brava), che pur risultando i più colpevoli di tutti con i loro comprotamenti di fronte alla società sono invece quelli che ne escono meglio agli occhi dello spettatore.

Una speranza nel futuro in un panorama generale davvero squallido e negativo.



1 réactions


  • (---.---.---.167) 16 febbraio 2014 17:34

    Faccio notare all’estensore del pezzo che due dei tre giovani che ne "escono meglio" sono colpevoli di omissione di soccorso, mentono alla polizia e, insomma, se ne fregano generalmente della vita del povero ciclista, lui si, vittima.

    Se questa è la speranza per il futuro, io rabbrividisco...
    Saluti
    Danilo

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