lunedì 13 gennaio 2014 - Aldo Giannuli

Tar e Regione Piemonte: per le truffe della Lega c’è un giudice a Torino! Ma...

Il Tar Piemonte ha annullato l’elezione del Consiglio Regionale Piemontese, contro il quale pendeva ricorso dal 2010. Ricapitoliamo i fatti: nel 2010, Merceces Bresso venne battuta da Roberto Cota per 9.372 voti ma, nella vittoria della coalizione di destra fu determinante una "lista di pensionati” che raccolse 27.797 voti. Subito emerse che la lista in questione era falsa, nel senso che diversi candidati erano stati aggiunti a loro insaputa e con firme false, per raggiungere il numero minimo di candidature prescritto dalla legge. Il caso era lampante e c’era una sola cosa da fare: accertare se quelle firme erano false e disconosciute dagli interessati o no. Non mi pare che fosse una questione tanto complessa, come alcuni giornali scrivono. Ed allora, come mai ci sono voluti ben 45 mesi per arrivare all’annullamento del voto?

In questo modo il ricorso è vanificato dai fatti, perché intanto il Consiglio illegittimo è restato in carica per i 4/5 della legislatura. Poi, nella sciagurata ipotesi che il Consiglio di Stato conceda la sospensiva, ci vorrebbero altri tre o quattro mesi almeno (e salvo incidenti procedurali).

Nel frattempo si renderebbe impossibile votare prima dell’estate (non penserete di votare a fine luglio, spero), per cui se ne parlerebbe a ottobre. Cioè a sei-sette mesi dalla fine naturale della legislatura. Dunque, nei fatti, i delinquenti (posso chiamarli tali perché c’è sentenza passata in giudicato che li condanna) la farebbero franca perché avrebbero raggiunto il loro scopo.

Allora, come è stata possibile questo sostanziale diniego di giustizia?

Una prima ragione è di ordine procedurale: la questione aveva un doppio profilo, penale ed amministrativo, perché falsificare o estorcere le firme, per di più in un atto ufficiale come una dichiarazione di candidatura, è un reato piuttosto grave. A proposito: che io sappia, le firme devono essere autenticare dal notaio o da ufficiale di stato civile, allora, erano falsificate anche le autentiche? Perché se non lo fossero state, vorremmo sapere se i responsabili sono stati condannati penalmente e poi radiati dall’albo professionale o licenziati dall’Amministrazione.

Trattandosi di un reato, si istruisce un processo penale pendente il quale le nostre leggi impongono che il giudizio amministrativo si fermi per attenderne l’esito definitivo. Una normativa palesemente irrazionale in casi come questo: appurare la falsità dell’atto è cosa che può fare benissimo anche il magistrato amministrativo, poi, semmai la magistratura penale potrebbe stabilire le responsabilità individuali irrogando le relative condanne.

Ma, detto questo, ci sono anche responsabilità dei magistrati che ci hanno messo del proprio in questo esito paradossale. Parliamo del profilo penale: in un caso come questo, dove ci sono evidenti ragioni di necessità ed urgenza e nel quale l’accertamento è relativamente semplice, trattandosi di stabilire se delle firme siano false o estorte, si poteva benissimo procedere per direttissima. E, nel merito, per un caso del genere, che dovrebbe avere la precedenza assoluta, la sentenza potrebbe essere ragionevolmente emessa entro due-tre mesi. Il deposito di sentenza potrebbe essere effettuato anche in una settimana. Il giudizio di appello è di per sé più breve di quello di primo grado ed il giudizio di legittimità, con procedura di urgenza, potrebbe essere discusso in pochissimo tempo.

Resta il problema dei termini per ricorrere in appello ed in Cassazione che sono molto consistenti e lì il magistrato non può farci nulla (sarebbe però opportuna una revisione legislativa della materia per evitare pratiche ostruzionistiche), ciò nonostante i tempi potevano essere dimezzati. Ed anche il Tar aveva gli elementi per poter decidere in tempi ben più brevi.

Il problema è che la magistratura si è abituata ad una routine per la quale fra un’udienza e l’altra possono passare mesi ed in qualche caso anni. E così, che ci sia stata una sentenza penale definitiva in “soli” 3 anni e mezzo sembra un tempo da autodromo. E invece, qui ci siamo dimenticati che il “tempo ragionevole” previsto dagli accordi e dalla giurisprudenza internazionale è di due anni complessivi. Magari possiamo anche accettare un tempo superiore per i casi ordinari, ma per casi straordinari come questo già due anni sono troppi.

Dunque, occorre mettere mano tanto alle procedure quanto al modo con cui i magistrati amministrano la giustizia e sui tempi inaccettabilmente lunghi di essa (e non uscitevene con la solita lagna del “non ci sono neppure i soldi per le fotocopie” perché non c’entra nulla).

E c’è anche un altro aspetto che merita di essere sollevato ed è di natura civile. In primo luogo i consiglieri regionali e gli assessori, essendo stati eletti illegittimamente, hanno percepito illegittimamente uno stipendio che, credo, vada restituito con gli eventuali interessi. Ma, mi direte, questo colpirebbe anche i consiglieri di opposizione che sarebbero due volte danneggiati. Giusto, ma c’è un rimedio: la Regione Piemonte ha ricevuto un danno da quantificare (sia per la ricaduta pratica che per il danno di immagine) in cui rientra anche l’aver pagato stipendi che non doveva, contributi ai gruppi regionali, le spese di apparato tecnico del Presidente ecc . Dunque, è giusto che la Regione chieda i danni (non ho idea della cifra ma credo si tratterebbe di qualche centinaio di milioni di Euro). Ma a chi chiederle? Ovviamente, in primo luogo al Presidente Roberto Cota che, come capo coalizione aveva l’obbligo di vigilare sulla correttezza delle operazioni di presentazione delle liste. Anche perché egli sarebbe stato (come è stato) il maggiore beneficiario della truffa elettorale. In secondo luogo rispondono della truffa i responsabili materiali del falso e (qualora abbia personalità giuridica) il loro partito. Dato che il partito risulterà inesistente o, comunque, non capace di pagare le somme richieste, sarebbe del tutto logico chiamare a rispondere in solido tutti i partiti della coalizione, che sono stati altrettanto beneficiati dall’illecito in questione. E, considerate le dichiarazioni del segretario della Lega Salvini, che evidentemente rivendica il comportamento tenuto dalla coalizione piemontese, potrebbe essere anche valutata una responsabilità nazionale del partito di appartenenza di Roberto Cota.

E magari, se la sentenza giungesse in tempi non secolari, potrebbe essere una lezione molto efficace per il futuro.



1 réactions


  • (---.---.---.93) 14 gennaio 2014 02:06

    Eh si! La colpa è della Magistratura, come al solito. 

    Ci scandalizziamo per i tempi lunghi della Giustizia - ed a ragione - ma ingoiamo senza fiatare i raggiri e le meschinità della Casta: infatti, passa in secondo piano che entrambe gli schieramenti avevano una lista civetta fasulla; giustamente la Bresso si è ribellata, perché i suoi 12.000 voti fasulli sono di meno dei 27.000 di Cota.
    In pratica, un imbroglione, truffato da uno più scaltro di lui, chiede (ed ottiene!) giustizia, ma con troppo ritardo!
    Se pareggiavano, allora tutto era regolare, e al diavolo l’onestà ed il rispetto delle istituzioni.
    Questa è la democrazia (in Italia), bellezza!

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