venerdì 10 marzo 2023 - clemente sparaco

Il Paese dove non nasce più nessuno: un cortometraggio della Plasmon denuncia il problema della denatalità in Italia

C’è un Paese dove non nascono più bambini in un docufilm della Plasmon intitolato Adamo 2050. "E' un progetto nato dall'esigenza di fare qualcosa di concreto sul tema della natalità in Italia" - è scritto sul link (adamo.plasmon.it.) che lo reclamizza - "Qualcosa che può succedere solo se agiamo tutti insieme".

Adamo è l’ultimo nato in Italia e il suo nome evoca significativamente quello del primo uomo sulla Terra.

È l’anno 2050 e un neonato piange desolatamente fra le culle vuote di un reparto di neonatologia. E poi, cresciuto, non ha compagni per giocare in un’aula d’asilo in cui sovrasta un silenzio assordante. Non ha fratelli né cugini e neanche amici. Papà e mamma raccontano le difficoltà di farlo socializzare nel deserto d’infanzia che c’è, mentre la maestra rimpiange il tempo in cui la scuola era riempita di giochi, voci e domande insistenti. Un’ostetrica, in una sala parto asetticamente incellofanata, rievoca invece malinconicamente quando ancora poteva assistere ai travagli e ascoltare i primi vagiti dei neonati.

Sembrerebbe mera provocazione, ma non è così, perché alla base del docufilm c’è una ricerca condotta su un campione rappresentativo della popolazione nazionale dalla Community Research & Analysis sotto la direzione di Daniele Marini (Università di Padova). Essa non solo individua i motivi che scoraggiano o impediscono il desiderio di genitorialità, ma mostra anche che questo resiste nonostante le difficoltà e le incertezze legate alla sfera economica e lavorativa (con il timore di perdere il lavoro al primo posto), nonché alla carenza di servizi (nidi, asili etc.). Ed emerge anche dalle risposte del 40,4% degli intervistati senza figli, che desidererebbero averne almeno uno, e dalle risposte di un terzo di quelli che ne hanno e che ne vorrebbero degli altri.

Si scopre, quindi, che lo scenario drammatico prospettato nel corto è già presente e coincide con lo sviluppo che abbiamo disegnato. Attendevamo infatti lo sviluppo dall’economia e dalla tecnica, dagli automatismi senza volto del progresso, e ci siamo persi l’umanità. Cosicché le nostre disponibilità e possibilità sono cresciuti nella misura in cui ci siamo deprivati di relazioni significative e di persone intorno a noi. E ci siamo persi la tenerezza e la dolcezza della vita.

Un tempo la nostra era una società con tanti bambini che si rincorrevano per strada. Non c’erano luoghi e spazi per giocare né giochi preconfezionati, ma dovevamo inventarceli. E i palloni li confezionavamo usando bottiglie di plastica o pressando della carta in una busta a formare una sfera. Abitavamo in una stanza in tanti, mentre ora ne abbiamo tante di stanze, ma non siamo più in tanti e siamo sempre più soli. Da bambini ci passavamo cappotti e maglioni usati dal fratello maggiore per poi lasciarli al più piccolo: ora abbiamo guardarobi pieni, ma non sappiamo il più delle volte che farcene. Siamo angustiati da oggetti inanimati, mentre tutto è a posto, ordinato nel cassetto, ma ci manca lo strepitare dei bambini in casa.

Dunque, è un po’ sinistro quello che abbiamo costruito e desolante. Ed è proprio quanto Adamo ci racconta mettendoci a fronte di una possibilità che forse non è nemmeno tanto remota.




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