venerdì 22 marzo 2013 - Enrico Campofreda

Il Newroz dell’addio alle armi nel nome di Öcalan

Sarà ricordato come il Newroz della pace (Nawroz in persiano, antica festa zoroastriana posta a cavallo dell’equinozio primaverile festeggiata da iraniani, kurdi, azeri, afghani, pakistani, turkmeni, tagiki, uzbeki, kirghizi, kazaki, georgiani, iracheni, turchi, albanesi) questo che la comunità kurda riunita a Diyarbakır festeggia attorno all’annuncio di Abdullah Öcalan

Un discorso che parla di costruzione di un’esistenza futura nel rispetto e nella legalità. Un’occasione invidiabile per Ankara e per lo stesso Erdoğan, che tramite il suo staff e gli uomini del Mıt, ha voluto e inseguito l’avvicinamento con quattro mesi di colloqui nell’isola-prigione di İmralı dove il leader del Pk è rinchiuso da tredici anni.

Il discorso dell’esponente kurdo condannato all’ergastolo è stato letto dalla deputata del Partito della Pace e della Democrazia Pervin Buldan. Dice: “È tempo che le armi tacciano e parlino le idee. Lo spargimento di sangue sta danneggiando tutte le popolazioni di questo territorio. In questa fase la politica andrà oltre la voce delle armi. È tempo che le nostre forze armate si ritirino dal confine. Si tratta d’un inizio non di una fine. Sarà l’avvio di una nuova lotta in favore delle minoranze etniche. Abbiamo grandi responsabilità verso la democratizzazione di tutte le popolazioni e culture di quest’area. Invito tutte le altre popolazioni del territorio a condurre un’esistenza basata sulla libertà e l’uguaglianza.”

E ancora: “La politica di annientamento e negazione basata sulla modernità capitalista è contraria alle condizioni attuali. Invito alla creazione di una modernità democratica, c’è bisogno di unità e alleanza non per il conflitto. Turchi e i kurdi hanno inaugurato il Parlamento nel 1920. Abbiamo costruito insieme il passato e insieme abbiamo bisogno di conservarlo”.

La volontà di fare tacere le armi è esplicita, dovrebbe seguire anche un travaso di guerriglieri armati dal confine del sud-est anatolico verso il territorio iracheno. La risposta del governo Erdoğan dovrebbe essere altrettanto sostanziosa.

Nei mesi scorsi s’era parlato di un’amnistia che però l’establishment turco potrebbe far fatica a concedere per il freno posto dalle Forze Armate pur “democraticizzate” dalla cura del premier. Ma una contropartita è necessaria e dovrà andare oltre la richiesta di riconoscimento della lingua e della cultura autoctona dei kurdi dell’Anatolia. Nei commenti successivi all’evento i ruoli si sono quasi rovesciati, mentre dal partito nazionalista turco (Mhp) veniva un’accettazione dell’evento, il premier in visita nei Paesi Bassi ha commentato negativamente l’assenza di bandiere turche fra la folla riunita: “Quella mancanza era contraria al messaggio di Öcalan“ ha dichiarato a un’agenzia.

Comunque potrebbe trattarsi di un gioco delle parti. La politica turca, islamista e iperlaica, dovrà onorare l’accordo e compensarlo se vuole davvero lasciarsi alle spalle la striscia di sangue di oltre quarantamila vittime. 




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