lunedì 23 dicembre 2024 - clemente sparaco

Il Natale ritrovato

Fra fede e storia.

Nel presepe si fondono fede e storia, simbolo e rappresentazione, consuetudini e tradizioni, mistica e religiosità popolare. C’è il richiamo ai racconti evangelici (i 180 versetti di Matteo e Luca, detti vangeli dell'infanzia), ma anche a testi apocrifi, come il protovangelo di Giacomo. C’è una sedimentazione di simboli che rimontano al Vecchio e al Nuovo Testamento: la mangiatoia, l'adorazione dei pastori, gli angeli nel cielo, il bue e l'asinello, i magi etc....

Tuttavia, quei racconti non sono cronaca di avvenimenti, ma predicazione del Cristo risorto. Ne rappresentano una sorta di anticipo o prefigurazione profetica nello stile del midrash ebraico. Ciò non significa che non riferiscano fatti, ma che il valore simbolico che vi attribuiscono è essenziale. Prova ne sia che fanno riferimento a personalità storiche, come il Battista ed Erode, testimoniando di eventi, luoghi e tempi ben definiti, a partire dalla stessa data del 25 dicembre. Essa non ricalcherebbe, infatti, la data pagana del sole invitto, ma corrisponderebbe alla data effettiva della nascita di Gesù, se si guarda alla ricostruzione delle turnazioni sacerdotali al Tempio in base al Libro dei Giubilei ritrovato a Qumran.

Il Presepe è anche tradizione popolare. Ad esempio, il presepe napoletano è una rappresentazione del Natale ambientata nella Napoli del Settecento, che si caratterizza per il dettagliato realismo dei particolari. Non è solo simbolo religioso, ma luogo metastorico in cui s'identifica un’intera comunità. Vi convengono personaggi popolari, osterie e commercianti, case tipiche dei borghi agricoli messi assieme con un anacronismo che potrebbe sembrare ingenuo. Ma l’anacronismo non è tradimento di quello che il presepe intende rappresentare, sottintendendo piuttosto la volontà di rendere presente l’evento della natività di Gesù, di farne memoria. Quindi, coglie l’intento ultimo dei racconti evangelici della natività: indicare “il modo in cui Dio si inserisce nella storia umana, imprimendole una svolta di redenzione e rinnovamento” (J. Bowker).

Pertanto, il presepe esprime una fede profonda ed una speranza autentica: che la storia non si ripeta identicamente, involuta in se stessa, ma che possa essere redenta, che possa nascervi una novità vera e che questa novità sia una persona.

Tu scendi dalle stelle

Il Natale richiama la Pasqua, rappresentandone una sorta di anticipo o prefigurazione profetica. Un fil rouge unisce le due feste cristiane: la kenosi, l’abbassarsi di Dio, il suo farsi piccolo. Ed è quanto celebra “Tu scendi dalle stelle”, il celebre canto natalizio di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori: la storia di un re senza potere che scende (la kenosi) e viene ad abitare in una grotta (il mondo) per instaurare il suo regno non “sulla forza, sull’imposizione, sulla violenza e l’intolleranza, ma solo sulla fede e sull’amore” (Ratzinger). Però, i dominatori di questo mondo (Erode) che non tollerano altro regno che il loro “desiderano eliminare il re senza potere, il cui potere misterioso, tuttavia, essi temono” (Ratzinger).

Gesù è scomodo: non lascia indisturbati. Nello stesso tempo, è segno di contraddizione.

A fronte di tutto questo si capisce il senso del rifiuto del Natale che una società laiuca come la nostra modula in diverse forme e con diverse motivazioni. Esso più in profondità è disperazione circa la possibilità che qualcosa di effettivamente nuovo possa accadere. É incapacità di liberarsi dalla routine immanente che ci imprigiona e di rompere la compressione del nostro io, quell’autocompiacimento di noi stessi e della nostra presunta libertà che nasce da un colossale fraintendimento.

Dio si consegna a Maria (l’umanità) nelle fattezze di un bimbo del tutto inerme (al freddo e al gelo), nel quadro di una storia umile, irrilevante per certi versi, che però è di una grandezza sconvolgente. Non s’impone dall’alto coartando le volontà e neanche si pone con distacco, ma si coinvolge fino a farsi piccolo piccolo. Ed è questo che ci interpella direttamente, ci interroga, ci spinge ad una presa di posizione, richiamandoci ad un’infinita responsabilità.

E anche nella laicizzazione estrema del Natale cui assistiamo in questi giorni, spinta fino al consumismo più bieco, sopravvive qualcosa di tutto questo nella voglia di fare festa e nelle luci che riscaldano un freddo giorno d’inverno che, altrimenti, sarebbe ben triste. Ma è chiaro che se Gesù non si dilata nella storia, se, nella fattispecie, il Natale del Signore non viene riconosciuto, ciò non avviene perché il Vangelo non ha validità e nemmeno perché lo Spirito non agisce, ma perché noi cristiani siamo diventati custodi opachi e testimoni muti.




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