giovedì 31 gennaio 2013 - Giulia Usai

Il Myanmar concede il diritto di manifestare (ma per la democrazia c’è ancora tanto da fare)

Per merito dell'abolizione della legge che impediva l'organizzazione di incontri pubblici con più di 5 partecipanti, il governo del presidente eletto Thein Sein compie un nuovo sviluppo nell'avanzata democratica del Myanmar, ma la strada per adeguarsi ai requisiti minimi degli stati liberali è ancora lunga.

L'ordinanza, in vigore dal 1988, venne applicata dalla Giunta Militare per arginare l'ondata di proteste in favore della democrazia attivatasi in tutto il Paese in seguito all'affermazione del regime militare, ed è stata abolita perché non rispetta i principi della nuova costituzione, la quale si impegna a garantire diritti di base quali la libertà d'espressione.

L'intransigenza del decreto: "a gruppi di 5 o più persone è vietato organizzare raduni o cortei e tenere discorsi per strada", era già stata allentata con la caduta del vecchio governo nel 2010, e nel novembre 2011 fu indetta una legge che autorizzava le assemblee pacifiche, per aprire la strada alla concessione di manifestare pubblicamente. Ma la richiesta di raduno andava presentata in anticipo, per evitare di incorrere in conseguenze penali, incluso il carcere.

Nel dicembre 2012, un gruppo di monaci aveva organizzato adunanze nell'intero stato per sfidare il veto -ancora in vigore- e chiedere al governo di porgere pubbliche scuse per la repressione, il 29 novembre, di una protesta in una miniera di rame (occasione durante la quale la polizia non aveva dimostrato grande abilità nella gestione dei contestatori, ferendo quasi 100 persone).

L'abolizione di questa legge repressiva apre spiragli importanti nel processo di modernizzazione sociale del Paese, ma alcune misure restrittive continuano ad essere adottate: è sempre applicata una legge che filtra le e-mail dei cittadini residenti sul territorio birmano, alla quale il regime militare faceva abbondantemente ricorso per mettere a tacere i dissidenti.

E ora resta da vedere in che modo le forze di polizia birmane manterranno fede alla promessa di favorire l'unità nazionale e la pace nel rispetto delle minoranze etniche dello stato. Fra queste, i Kachin, stanziati nei territori settentrionali, che dopo aver stabilito un cessate-il-fuoco nel 1994 con la Giunta Militare, caduto nel giugno 2011 in seguito al loro rifiuto di abbandonare una zona strategica nei pressi di una centrale idroelettrica appartenente a una compagnia cinese, sono stati costretti ad esodi di massa (circa 100.000 Kachin hanno abbandonato le loro case, a partire dalla metà del 2011) e trasferiti in campi profughi.




 



1 réactions


  • (---.---.---.39) 1 febbraio 2013 00:13

    Il mondo cambia piano piano. I segnali ci sono.
    Speriamo bene che la ristrutturazione del paese avenga.


Lasciare un commento