giovedì 4 giugno 2020 - Osservatorio Globalizzazione

Il Medioevo oggi: oltre tabù e semplificazioni

Il concetto di Medioevo ai giorni nostri, qualsiasi storico ve lo potrà confermare, ha preso forma nell’immaginario collettivo in un modo distorto, stereotipato e abusato. 

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Distorto perché per la maggior parte delle persone è difficile farsi un’idea che non sia assolutamente semplicistica e deformante di un periodo che copre più di un millennio della nostra storia. Stereotipato perché viene naturale a chi con l’immaginario collettivo ci lavora, principalmente mass media e editori, insistere su quelle ambientazioni medievaleggianti già familiari al grande pubblico che nel complesso restituiscono un concetto di Medioevo piatto e immobile. Abusato perché qualsiasi concetto si presti alla strumentalizzazione politica viene regolarmente sfruttato a tale scopo e naturalmente l’idea comune di Medioevo ci si presta spesso e volentieri.

Per capire meglio questa situazione bisogna risalire a quando questa idea di Medioevo è entrata nell’immaginario collettivo, quindi all’incirca tra il ‘700 e l’800. Qui inizialmente si ebbe l’influenza dell’Età dei Lumi che, contrapponendosi a una tradizione culturale ritenuta fanatica e irrazionale, individuò nell’epoca medievale l’apice dell’oscurantismo e del fanatismo religioso (nonostante ‘500 e ‘600 fossero stati decisamente più “bui” in questi termini). In seguito, col romanticismo, iniziò una riscoperta dei valori mistici e spirituali dell’uomo, ricercati naturalmente nel periodo storico che i rivali illuministi avevano tanto bistrattato, il Medioevo. Da un lato questo processo contribuì a etichettare quest’epoca come un periodo buio, culturalmente oscuro, superstizioso, dall’altro le fornì una sfumatura fiabesca ed eroica. Il risultato fu, sostanzialmente, l’idea comune di Medioevo che esiste tuttora.

La politica, come detto, ne ha già abusato abbondantemente e continua a farlo. Diversamente dai ben più complessi usi strumentali della storia operati nella prima metà del ventesimo secolo (dal nazismo, per esempio), la politica recente ha adottato un approccio che fa leva su idee molto più vaghe, astratte, spesso proiettando l’immaginario storico verso l’esterno. Neanche vent’anni fa l’amministrazione Bush per giustificare le aggressioni in Medio Oriente promuoveva lo slogan di “crociata umanitaria”, ammantando una presunta “guerra per portare la democrazia” di un’aura eroica e vagamente mistica, di fatto sottintendendo anche una sorta di missione civilizzatrice cristiana/occidentale. Gli USA sono certamente lo stato che più di tutti si è servito di questo tipo di retorica dal dopoguerra in poi, almeno a partire da quando Kennedy proclamò la Casa Bianca “la nuova Camelot”.

Ma anche in politica interna, specie da parte delle voci progressiste, le strumentalizzazioni dell’idea di Medioevo sono molte e abbondanti. Il caso più comune, con cui tutti abbiamo familiarità, prevede che si bolli con l’etichetta medievale qualsiasi cosa sia ritenuta troppo retrograda, tradizionalista o non al passo coi tempi; da qui la sempreverde constatazione “stiamo tornando al Medioevo”. Per una certa frangia di pseudo-progressisti addirittura il Medioevo sembra diventato un vero spauracchio, il cui solo pensiero genera orrende visioni di arcobaleni sbiaditi e gender non riconosciuti. Per rendersene conto è sufficiente aver visto l’atterrita reazione del sindaco di Milano Giuseppe Sala alla scoperta di alcuni reperti archeologici nel corso degli scavi per la metropolitana, che in aggiunta alla loro oscenità potrebbero persino causare irrimediabili posticipi degli spritz estivi della giunta milanese.

Ad ogni modo, l’influenza politica di questo concetto distorto di Medioevo non si esaurisce qui. Questa percezione del nostro passato è frutto del pensiero e della cultura occidentale e di come essa vede sé stessa; la categoria di Medioevo però, come quelle di antichità e modernità, vengono usate per dare una periodizzazione non solo alla storia europea, ma a quella globale nel suo complesso. Il risultato è l’applicazione di queste categorie anche a culture e civiltà per cui esse risultano quantomeno forzate, finendo per distorcere totalmente la nostra conoscenza di ciò che si trova fuori dall’occidente. In questo contesto emerge fortemente la tipica caratterizzazione del Medioevo come età di transizione, un periodo più o meno lungo di immobilismo in attesa che giunga finalmente la modernità. Di conseguenza nella storia delle nazioni extraeuropee il Medioevo diventa l’epoca di stagnazione che separa un lontano glorioso passato dal tanto agognato arrivo della civiltà moderna, ovviamente portata dagli occidentali. Tutto ciò assume significati diversi a seconda della regione che si va ad analizzare.

Gli esempi che si potrebbero fare in questo contato sono molteplici, dai paesi del Medio Oriente, alla Cina, all’India, ma per amore di sintesi mi limiterò a citare un solo caso emblematico: la storiografia sul Giappone. Comunemente si fa coincidere la fine del medioevo nell’arcipelago (il periodo feudale) con il Rinnovamento Meiji, un periodo di sconvolgimenti sociali e istituzionali in atto tra il 1866 e il 1869. Questa rivoluzione, che significò per i giapponesi innanzitutto apertura agli scambi internazionali e all’influenza occidentale, fu incoraggiata pesantemente dagli eventi della baia di Edo, dove l’ammiraglio americano Perry invitò cordialmente lo shogunato ad aprire i suoi confini schierando nel porto le sue navi da guerra ben fornite di cannoni. L’età moderna inizia quindi per il Giappone quando questo in qualche modo accoglie finalmente la modernità occidentale e la fa propria, appiattendo tutta la sua storia precedente in un generico Medioevo. Questo è il concetto che ci tramette la maggior parte della divulgazione storica in merito e le basi su cui si poggia sono chiare: la civiltà moderna è l’unica che conta davvero storicamente, tutto ciò che viene prima di essa è storia immobile.

Si tratta di una mentalità eurocentrica di stampo colonialista, da cui l’occidente ha cercato in qualche modo di liberarsi nell’ultimo mezzo secolo ma che di fatto è ancora ben presente nella nostra visione del mondo. Il modo di percepire la storia è sempre rivelatore dello spirito di una società e ne evidenzia i limiti in particolare. Ci siamo abituati a pensare all’Europa come al centro del mondo, studiamo solo la nostra storia e conosciamo quella degli altri solo dal momento in cui hanno abbracciato la “nostra” modernità. La storia di tutto il globo risponde alle nostre periodizzazioni e ciò che avviene prima che vi sia portata la civiltà dell’Occidente è messo alla stregua della nostra epoca dimenticata, è Medioevo. Eppure già da un pezzo dovremmo esserci accorti che il mondo è cambiato, che l’Europa ormai conta poco e conterà sempre meno, che ovunque paesi con culture diverse stanno reclamando i loro spazi, che insomma il predominio della nostra modernità verrà presto o tardi messo in discussione.

Per questo credo che sia necessario un cambio di prospettiva, a partire dal modo di vedere La storia stessa. Non una serie lineare di avvenimenti, scanditi da fasi ben definite, che si avvia inesorabilmente la modernità, ma un processo complesso, contraddittorio e ramificato, senza un inizio né una fine vera e propria, e soprattutto mai uguale a sé stesso né immobile: nessuna “Età di Mezzo”.




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