I partiti politici: il nuovo impero delle oligarchie mascherate
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Oggi parliamo dei partiti politici. Perché anche questi, se vogliamo, hanno l’innata capacità di snaturare il senso della democrazia rappresentativa. C’è un passo della Costituzione (già, la Costituzione: i più la considerano un dogma infallibile ma in realtà, proprio perché scritta da un essere imperfetto come l’uomo, non potrà mai definirsi tale: dall’imperfezione non può nascere perfezione) nel quale si dà una dizione dei partiti che Norberto Bobbio definisce “ridicola”, è l’art. 67: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”.
Ma è vero il contrario, e cioè che ogni membro del Parlamento dovrebbe rappresentare la Nazione ma finisce con il rappresentare il suo partito e gli interessi dello stesso. Stiamo parlando infatti di piccoli ceti oligarchici che anziché difendere gli interessi nazionali difendono quelli di parte, e spesso rispondono, anzi ubbidiscono, alle esigenze di altri gruppi di pressione caratterizzati da un forte potere economico. I partiti sono una sorta di potentato legittimato dal voto. Non si spiegherebbe altrimenti perché in un Paese come il nostro, in cui la corruzione percepita è tra le più alte d’Europa e depreda i cittadini di 70 miliardi di euro l’anno, ancora oggi si possa parlare di processo breve, di riforma della giustizia, di ddl antintercettazioni e non, al contrario, di un disegno di legge anticorruzione. Nel 2007 il Movimento 5 Stelle ha raccolto 350 mila firme per la proposta di legge di iniziativa popolare sul cosiddetto Parlamento pulito (fuori i condannati, massimo 2 legislature per parlamentare): sono passati quasi 4 anni da allora, ma la proposta giace mummificata in Commissione Affari Costituzionali del Senato.
Non è un caso se i primi teorici della democrazia non hanno mai fatto alcun accenno ai partiti: quello che in democrazia un tempo era una libera scelta, unirsi in società per affinità di idee, oggi è diventato l’obbligo. Il guaio è che queste minoranze oligarchiche, più simili ad una aristocrazia privilegiata che a rappresentanti della nazione, non hanno nulla a che vedere con le vecchie aristocrazie. Mentre le aristocrazie storiche, infatti, avevano tutte le qualità per poter governare il popolo poiché erano formate da uomini dediti allo studio delle arti e delle scienze, l’unica distinzione oggettiva che i parlamentari possono vantare oggi con i cittadini, è quella di fare politica: una legittimazione interna al meccanismo che li ha prodotti. Si dicono professionisti della politica, e questa è la loro unica specificità, se così possiamo definirla. Che la democrazia sia il governo dei mediocri è cosa nota: al comando non va il più meritevole e il più capace, ma il più votato, che è cosa diversa. Tuttavia la loro superiorità non è giustificata da nulla: hanno le caratteristiche dell’aristocrazia senza averne le qualità.
E come ci si può difendere dalla prepotenza dei partiti e dai loro rappresentanti? In democrazia non è cosa semplice. Perché mentre in una tirannia il cittadino riconosce il tiranno, e lo combatte con la rivolta, in una democrazia non esistono tiranni e proprio perché tale ci si crede comunque in un sistema legittimato. Anzi, si condanna ogni forma di ribellione proprio perché si è in democrazia, ed apparendo un dogma (anche se non lo è), non lo si può toccare o sovvertire. Stiamo legittimando i partiti a fare gli interessi propri (in questi giorni la proposta di un deputato del Pd di aumentare i rimborsi elettorali: più soldi per loro, meno per noi), e facciamo la guerra tra di noi perché riteniamo quel partito meglio di quell’altro. In realtà stiamo votando il meno peggio. Forse aveva ragione Norberto Bobbio quando diceva: “oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito, o credono di aver capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza danni”.