venerdì 6 marzo 2020 - YouTrend

I numeri del Coronavirus: rispondiamo alle domande con Fabrizio Pregliasco

Con l’aiuto del virologo Fabrizio Pregliasco proviamo a rispondere alle domande-chiave sul numero di contagi, ricoveri e mortalità dell’epidemia da COVID19

Da qualche settimana il coronavirus è entrato prepotentemente nella cronaca del nostro Paese, incidendo sotto ogni aspetto sulla vita degli italiani. Proprio ieri, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato un nuovo decreto contenente alcune misure straordinarie per tentare di mitigare l’espansione del contagio, e oggi il Governo ha deciso di rinviare il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari previsto per il 29 marzo.

Noi di YouTrend, con l’aiuto di Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’IRCCS Galeazzi di Milano (e omonimo del nostro direttore – per chi ce lo ha chiesto, non ci sono legami di parentela) abbiamo preparato delle FAQ (frequently asked questions) per rispondere alle domande più frequenti, utilizzando laddove possibile l’approccio data-driven che ci contraddistingue.

 

1 – Il Coronavirus è più di una semplice influenza?

Molte sono state le diatribe tra chi ha cercato di minimizzare la pericolosità del coronavirus e chi, invece, veniva accusato di ingigantirla. Dalle parole di Fabrizio Pregliasco, allora, abbiamo cercato di capire quale sia la reale dimensione di questo virus: «Tra i contagiati, c’è una quota di casi più gravi rispetto all’influenza, che necessita del ricovero in terapia intensiva. Si tratta di un decorso, per una quota di infetti, più impegnativo, anche se nella maggior parte dei casi si arriva comunque alla guarigione. La mortalità, però, è più alta rispetto all’influenza, e ciò non può essere negato.

Quest’ultima in via diretta causa poche conseguenze – quest’anno si sono registrati 23 casi di decesso attribuiti in via diretta all’influenza su 5 o 6 milioni di contagiati. C’è poi una sovra-quota di mortalità, che arriva allo 0,1%, per via di soggetti che hanno l’influenza ma anche contestualmente altre patologie cardiache o respiratorie.

Il coronavirus è dunque più pericoloso dell’influenza, ma non ai livelli di SARS o Ebola. Ciò che spaventa non è il valore assoluto di mortalità, ma la sua possibilità di estensione: considerando i 5 giorni e mezzo di incubazione media, che possono arrivare a 14, si arriva a una potenzialità di replicazione dei casi con un intervallo di sette giorni. Un focolaio minimo ha dunque grandi potenzialità di espansione.»

In effetti, il coronavirus si è espanso sostanzialmente in tutto il mondo in poco tempo. In Cina sono ormai stati superati gli 80mila casi confermati, mentre i Paesi con più contagiati nel resto del mondo sono la Corea del Sud (5.621 casi accertati al 4 marzo), poi l’Italia (3.089) e l’Iran (2.922).

2. È vero che la mortalità di questo virus è del 2%?

Molta confusione è anche presente sul tasso di letalità del virus, calcolato come il rapporto tra i decessi registrati e coloro i quali contraggono il virus. Questa confusione è dovuta anche al fatto che vi sono sistemi sanitari più o meno attrezzati per contrastare l’infezione, e questo può incidere, in un senso o nell’altro, sui numeri riguardanti i decessi e le guarigioni.

«In Cina – spiega Pregliasco – il tasso di letalità arriva al 2,7%, ma al di fuori, considerando tutti i casi, si giunge ad un valore tra lo 0,5% e lo 0,7%. Inoltre va considerato come, in Italia, il numero di casi sia contenuto ma sicuramente sottostimato: il denominatore utilizzato per calcolare il tasso di letalità è basato sui casi che arrivano alla nostra osservazione, ma in realtà la diffusione del virus è molto più elevata e molti infetti sfuggono alle rilevazioni, per cui la percentuale di letalità è più bassa di quella che si può calcolare sui numeri “ufficiali”. Questa situazione di sovrastima è normale, e nel nostro Paese abbiamo già osservato come ciò avvenga, ad esempio, anche nelle malattie sottoposte all’obbligo di notifica, come il morbillo.»

 

Ciò premesso, come possiamo osservare dal grafico con i dati del Chinese Center for Disease Control and Prevention, la letalità sfiorerebbe il 15% tra gli ultraottantenni, per poi calare drasticamente fino ad arrivare ben al di sotto dello 0,5% tra gli under 50. Questi dati confermano, dunque, come per gran parte della popolazione i rischi siano molto contenuti, ma diventano piuttosto seri in età avanzata, soprattutto per quei soggetti nei quali siano presenti delle comorbilità, cioè per chi soffre di patologie cardio-vascolari, diabete, malattie respiratorie e ipertensione (si tratta di un fattore che influenza, come abbiamo visto in apertura, il tasso di mortalità anche nell’influenza stagionale).

L’età è un fattore importante, soprattutto per il nostro Paese, che è il secondo al mondo per percentuale di over 65 (23%, dietro solo al Giappone). Siccome il coronavirus è più pericoloso, come visto, per le fasce d’età più avanzate, l’Italia potrebbe trovarsi più in difficoltà sotto questo punto di vista rispetto agli altri Paesi maggiormente colpiti, dove la percentuale di over 65 è più bassa: in Cina è dell’11%, in Corea del 14% e in Iran del 6%.

 

3. Quanti sono i casi oggi in Italia?

A oggi sono stati effettuati quasi 30.000 tamponi nel nostro Paese, dove, stando ai dati diffusi dalla Protezione Civile, i casi positivi totali sono 3.089.

 
 

 

Negli ultimi giorni, le direttive hanno imposto una riduzione dei tamponi da effettuare ai soggetti asintomatici, quindi in generale sono stati effettuati meno test. Di conseguenza, la curva del numero dei tamponi effettuati complessivamente cresce più lentamente rispetto al numero dei positivi, comportando un aumento della percentuale di casi positivi sui tamponi.

Il focus maggiore sui soggetti sintomatici fa sì che il tasso di crescita dei ricoverati in reparto o in terapia intensiva sia superiore al tasso di crescita dei soggetti positivi totali. Il dato più interessante da guardare per la tenuta del sistema sanitario è quindi questo, dal momento che la crescita dei degenti in terapia intensiva è il fattore che più mette sotto pressione il sistema.

Risulta dunque fondamentale saper effettuare una programmazione sanitaria adeguata, come afferma anche Nino Cartabellotta, medico e fondatore di GIMBE, il Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze.

 

#coronavirus: programmazione sanitaria per gestire l'emergenza. Non contiamo solo i numeri, ma seguiamo traiettoria impegno assistenziale e giochiamo d'anticipo sul #COVID19. Strategie attendiste mandano in tilt #sanità#CoronaVirusitaly #COVIDー19 #COVID2019italia #covid

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4. Perchè ci sono le misure di contenimento?

In molti giudicano eccessive o inutili le misure di contenimento, anche a causa del loro impatto sull’economia del Paese. Non è della stessa opinione, però, Fabrizio Pregliasco, che ci spiega perché queste misure non solo siano utili, ma fondamentali: «Misure di questo tipo servono o per cercare di spegnere l’incendio – ma credo che questa sia un’opzione oramai superata – o per cercare di mitigarlo, mettendo in essere tutte le azioni per rallentarne la diffusione. Trattandosi di un virus nuovo, per il quale il nostro organismo non ha difese, siamo tutti suscettibili al contagio, per cui occorre controllare la velocità con cui colpirà. Ad esempio, l’influenza spagnola del 1918 ha visto una prima ondata con un 35% della popolazione colpita nell’arco di 6/8 settimane, e questo è lo scenario peggiore per la sanità pubblica oltre che per le comunità».

Quest’ultima parte, in particolare, rappresenta un punto sul quale vale la pena soffermarsi: in Italia, considerando le strutture pubbliche e private, vi sono circa 5.000 posti letto in terapia intensiva. Considerando i dati che abbiamo a disposizione attualmente, nel nostro Paese circa il 9% dei casi certificati avrebbe necessità di essere assistiti in terapia intensiva.

Consideriamo tale percentuale una sovrastima, per i motivi ben spiegati in precedenza dal prof. Pregliasco (cioè l’esistenza, nel territorio, di molti più casi di quelli certificati, asintomatici o con sintomi molto lievi). Ipotizziamo dunque che tale percentuale sia molto più bassa, intorno tra l’1 e il 2%. Nell’ipotesi che fosse contagiato il 30% della popolazione in sei mesi, significa che vi sarebbe la necessità di 180-360 mila posti letto in terapia intensiva, un numero chiaramente spropositato rispetto alle attuali disponibilità del Paese.

Fonte: Considerazioni sull’evoluzione in corso dell’epidemia da nuovo coronavirus SARS-nCOV-2 in Italia; Enrico M. Bucci e Enzo Marinari.

A riguardo risulta molto interessante uno studio eseguito da Enrico Bucci (Sbarro Health Research Organization, Temple University, Philadelphia) e Enzo Marinari (Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma), di cui il grafico riportato qui sopra. Al 1° marzo, i casi gravi – cioè bisognosi di un ricovero in terapia intensiva – erano approssimati al meglio da una curva esponenziale, piuttosto che da una lineare, con un tempo di raddoppio di circa 2,6 giorni. Ciò significherebbe arrivare ad avere, secondo il modello, circa 350 ricoverati in terapia intensiva entro la serata del 5 marzo, il che, al momento in cui scriviamo l’articolo, appare piuttosto verosimile: alle ore 18 del 4 marzo si contano infatti 295 infetti bisognosi di un ricovero in terapia intensiva. Appare, alla luce di queste considerazioni, ancora più evidente l’importanza delle misure di contenimento. Per il prof. Pregliasco «Dobbiamo mettere in atto tutte le misure possibili per non fare ammalare contemporaneamente una parte rilevante della popolazione, al fine di evitare il collasso ospedaliero e un impatto devastante per la società. Certo, non c’è un meccanismo testato ed efficace che ci confermi che chiudere alle 18 un locale diminuisca di X i contagi, ma si tratta di interventi tesi a ridurre, complessivamente, i contatti. Se riusciamo a diminuirli del 40/50% si riesce ad abbassare sufficientemente l’R-zero, cioè quel parametro che indica, da un caso di contagio, quanti in media se ne aggiungono, e rallentiamo significativamente il diffondersi dell’infezione».

 

 

5. Quando capiremo se le misure di contenimento prese si saranno rilevate efficaci?

Le misure di contenimento non sono immediatamente efficaci: occorre un tempo ragionevole per poter valutare se effettivamente il contagio è stato contenuto o rallentato. «Non possono essere valutate subito – afferma Pregliasco – ci vorrà almeno una settimana. Non è comunque facile, in quanto la sommatoria dei casi giornalieri ha un bias, dal momento che oggi vengono notificati i casi che sono stati diagnosticati qualche giorno prima: su questo occorrerebbe fare una media mobile per vedere un trend significativo e eliminare quella variabilità giornaliera data da questi elementi. In ogni caso, saremo in grado di vedere se c’è un trend di abbassamento solo dalla prossima settimana, ma a mio avviso dovremmo continuare ancora con queste misure, sebbene vi sia una grande pressione verso i decisori politici in senso contrario per ridurre il danno economico.»

 

Analisi a cura di Matteo Cavallaro, Lorenzo Pregliasco, Alessio Vernetti, Andrea Viscardi



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