martedì 31 ottobre 2023 - Libero Gentili

I detti popolari hanno sempre ragione

Se Joe Biden fosse stato romagnolo, i suoi compaesani lo avrebbero rimbrottato: “Mai lighér i can con el sulzézz!” (non legare mai i cani con la salsiccia). Un detto popolare che, notoriamente, veniva usato per dare dello sprovveduto a chi se lo meritava; poi la scelta, in sé, costituiva veramente uno spreco.

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messaggio alla nazione

Ma per estensione, come succede per tutti i proverbi, potrebbe anche suggerire che le misure di sicurezza e soprattutto le scelte andrebbero prese adeguatamente, perché la loro inefficacia potrebbe causare danni ben più gravi.

Sostenere due guerre non è facile, anche per chi possiede un salumificio. In che modo gli Stati Uniti aiuteranno sia Israele, che l’Ucraina? Le risorse di una nazione contano sicuramente ma, la storia ce lo insegna, spesso non bastano perché ciò che più conta sono le decisioni strategiche, soprattutto con chi si sceglie di allinearsi.

Le prime parole che il presidente ha pronunciato il 20 Ottobre, dopo aver salutato i suoi “fellow Americans” sono state: “Siamo di fronte a un punto di svolta nella storia: uno di quei momenti in cui le decisioni che prendiamo oggi determineranno il futuro per i decenni a venire”.

Le stesse, quasi identiche parole le pronunciò quando iniziò il suo mandato, affermando che la politica degli Stati Uniti si trova a un punto di svolta, in cui le decisioni che gli americani prendono ora avranno un impatto enorme sul futuro.

Ma in quasi tre anni, dall’inizio del suo mandato, gli eventi si sono susseguiti in maniera vertiginosa, come avviene normalmente man mano che proseguiamo nella storia.
Quindi la sua visione di quasi tre anni fa sta rapidamente diventando un ricordo. Ma quel ricordo il Presidente lo ha ricollocato, come se nulla fosse, in un contesto diverso; di grande interdipendenza.

Il fatidico 11 settembre di ventidue anni fa ha segnato, caratterizzato, plasmato l’intera politica estera degli Stati Uniti, garante la loro preminenza economica e militare rispetto al resto del mondo, con lo scopo di perseguire le cosiddette nazioni canaglia, ma con conseguenze che non ci vuole poi molto a definire quanto meno deludenti, se non disastrose.

Certamente il potere americano si basa anche sulle sue alleanze: “le alleanze americane sono ciò che mantiene noi, l’America al sicuro. I valori americani sono ciò che ci rende un partner con il quale le altre nazioni vogliono lavorare.”
Ma le alleanze a cui il Presidente americano probabilmente si riferisce erano state create per un’epoca diversa.

Attualmente la guerra in Ucraina prosegue inconcludente e quella attuale, che contrappone l’alleato Israele ad Hamas, potrebbe produrre una catena di eventi che rovescerebbero il primato degli Stati Uniti in Medio Oriente.

Se ci pensiamo bene, non c’è molta coerenza nell’immagine che questa nazione sta dando al mondo, soprattutto agli occhi del mondo arabo: condannare un’invasione in Ucraina e, al tempo stesso, sostenerne una a Gaza.

Nonostante ciò, dopo il suo ritorno da Israele, collegando direttamente le due guerre, Biden ha proposto un finanziamento di emergenza di 106 miliardi di dollari, di cui 61 sarebbero destinati all’Ucraina, 14,3 a Israele e 14 per la gestione del confine tra Stati Uniti e Messico.

Di fronte allo scetticismo espresso dall’altro polo, quello repubblicano, Biden ha replicato che “Hamas e Putin rappresentano minacce diverse, ma hanno questo in comune: entrambi vogliono annientare completamente una democrazia vicina”.

La petizione di principio, in sé, non fa una piega. Ma siamo proprio sicuri che questa generalizzazione del termine democrazia, che nessuno avrebbe il coraggio di contestare, possa effettivamente calzarsi a pennello sulla politica che sta attualmente conducendo il governo di Benjamin Netanyahu?

Da quando è iniziata questa tragedia, a Gaza sono morti più di 1.700 bambini palestinesi; 120 al giorno! è una statistica impossibile da ignorare. Uccidere migliaia di persone, mutilarne decine di migliaia e lasciarle senza niente, solo perché il Governo attualmente in carica identifica questi abitanti con il terrorismo di Hamas, non sembra un grosso modello di democrazia.

Né è possibile, a quanto pare, esprimere pubblicamente compassione per i bambini morti a Gaza, perché questo potrebbe sfociare in un linciaggio da parte di una folla fascista come è successo, a Israele, al giornalista di sinistra Israel Frey per aver recitato la preghiera ebraica in lutto per le donne e i bambini che, secondo lui, erano stati "massacrati".

Al momento in cui sto scrivendo, una cinquantina di persone, secondo media israeliani, potrebbero ritrovare la libertà, grazie ad un accordo mediato dal Qatar. Ma questi sono sviluppi che non bastano a dissuadere Israele dall’intenzione di procedere con un’offensiva di terra a Gaza; il suo inizio è solo rimandato.

Quello che è molto grave è che la stampa internazionale non sta affatto dando risalto al fatto che Benjamin Netanyahu è considerato, da una vasta area non indottrinata dell’opinione pubblica israeliana, il principale responsabile di questo disastro.

Secondo alcuni giornalisti israeliani, per 14 anni la politica di “Bibi” (soprannome affibbiato al primo ministro) è stata quella di mantenere Hamas al potere.
Si ritiene che “il modus operandi della politica di Netanyahu dal suo ritorno all’ufficio di Primo Ministro nel 2009 continua a rafforzare, da un lato, il governo di Hamas nella striscia di Gaza e, dall’altro, a indebolire l’Autorità Palestinese”.

Da parte di quell’area non indottrinata del paese si grida: “Netanyahu deve andarsene adesso, non dopo la guerra di Gaza”.
Attualmente i legislatori del partito al governo israeliano Likud, di destra, chiedono apertamente e sfacciatamente una seconda "Nakba” [la “distruzione” dell’identità palestinese avvenuta in concomitanza con la cacciata dalle loro terre, nel momento stesso in cui nasceva lo Stato d’Israele].

È vero che nel tempo le parole acquistano e addirittura stravolgono, nell’uso che se ne fa, il loro valore etimologico; neologismi e termini di recente creazione contribuiscono in misura notevole.
Ma la parola “democrazia” nasce come termine “fattuale”; in sostanza non può essere soggetta a diminuzioni o alterazioni di valore: o c’è, o non c’è.

Per chi ha ascoltato il messaggio del Presidente Joe Biden agli americani sull'appoggio incondizionato a Israele, non credo ci sia difficoltà ad ammettere che si è trattato solo di un inno alla grandezza del paese: "noi siamo gli Stati Uniti d'America; GLI STATI UNITI D'AMERICA!".

Ma grandezza e democrazia non è detto che vadano sempre a braccetto.




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