venerdì 19 dicembre 2014 - Fabio Della Pergola

Hamas non è più terrorista. Dicono.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha infilato la sua personale perla delle perle nel contesto di un atto del Parlamento Europeo (o forse in casuale coincidenza?) che esprime il suo favore al riconoscimento dello stato di Palestina nell’ambito delle trattative di pace.

Mettiamo fra parentesi la risoluzione del Parlamento che, nella sua formulazione, esprime un atteggiamento simbolicamente significativo, ma che, in realtà, non dice niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva: la maggior parte degli stati europei votarono a favore dei "due stati" - uno arabo e uno definito "ebraico" dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite - già nel 1947 e oggi non fanno altro che ribadire l'intento.

L’Europa sollecita le parti a riaprire le trattative bloccate per giungere alla tanto sospirata soluzione dei due stati “a partire dai” (non “sui” come qualcuno un po’ frettolosamente ha scritto) confini del ’67. Ma, dal momento che quei "confini" non sono mai stati tali, come è noto, dove essi saranno tracciati nessuno lo sa né può dirlo, né a Bruxelles né a Washington né altrove, fino a che le due parti non si metteranno d’accordo. Di sicuro non "sulla" linea di armistizio precedente il giugno '67. Né sarà Bruxelles a decidere se e quanti profughi palestinesi potranno ottenere il "ritorno" in quello che oggi si chiama Israele.

Il che significa (ovviamente) che lo Stato di Palestina potrà essere riconosciuto solo alla fine di un percorso che non veda sancite una volta per tutte solo le giuste aspettative palestinesi ad avere un proprio stato libero, autonomo e dai confini internazionalmente riconosciuti, ma anche il diritto di Israele a vedersi sottoscritta e controfirmata, da una controparte sufficientemente credibile e capace di farla rispettare a tutte le sue componenti, la definitiva dichiarazione di fine dello stato di belligeranza.

La specificazione è scottante tant’è che una filopalestinese d’antàn come Luisa Morgantini, su il Manifesto ha ammesso che ha fatto di tutto per far togliere alla risoluzione finale il nesso tra “riconoscimento e negoziati”; implicitamente si voleva quindi che la Palestina fosse riconosciuta dall’UE a prescindere dalla firma su un trattato di pace complessivo e definitivo. Con tutte le conseguenze che non è difficile immaginare, pensando all'attività delle organizzazioni che non dovessero sottoscrivere l'ipotetico accordo.

E questo rimanda al primo punto: la decisione della Corte di Giustizia di depennare Hamas dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche, per “motivi tecnici”; una spiegazione che appare alquanto misteriosa e a dir poco sorprendente.

Dicono infatti le notizie di stampa: «La Corte ha constatato che l’iscrizione di Hamas nella lista nera era fondata “non su fatti esaminati e contenuti nelle decisioni delle autorità nazionali competenti”, ma piuttosto su accuse “tratte dalla stampa e da Internet”. Condizione non sufficiente perché la decisione fosse legale».

Sembra quindi evidente, da questo testo, che l’Europa, di chiunque sia stata la responsabilità, avrebbe inserito Hamas nell’elenco delle organizzazioni terroristiche solo sulla base di notizie di stampa non esaminate né confermate.

Oltre all'ovvia accusa di inaccettabile incapacità che qualsiasi cittadino europeo potrebbe indirizzare a Bruxelles per la sua manifesta inettitudine, c'è la possibilità - vista la metodologia usata, non sufficiente a conferire legittimità ad un atto pubblico - che l’Europa stessa, cioè tutti noi, possa essere ora chiamata a rispondere delle sanzioni, cioè dei danni milionari causati ad Hamas e alla popolazione di Gaza che da essa viene governata. E chi ha preso questa decisione potrebbe essere costretto a pagarne le conseguenze.

Sono tutte chiacchiere, naturalmente. Almeno per ora.

La portavoce europea Maja Kocjančič, ha immediatamente fatto sapere che la Commissione continuerà a considerare Hamas un’organizzazione terroristica, dal momento che «la decisione è chiaramente fondata su questioni procedurali e non implica alcuna valutazione dei motivi di fondo dell’iscrizione di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte del tribunale» e che «le istituzioni europee stanno studiando attentamente la decisione e decideranno sulle opzioni possibili» con l’intenzione di «adottare opportune misure correttive, tra cui l’eventuale appello alla sentenza».

Quindi siamo di fronte a una specie di bufala della sottospecie “bufala burocratica”, dell'ampia famiglia delle “bufale burocratiche europee”, che sono le peggiori.

Ma anche le bufale burocratiche hanno una madre da qualche parte, il che impone di farsi qualche domanda.

La prima che viene in mente, ad esempio, riguarda la capacità della diplomazia americana di influenzare le decisioni politiche europee in merito al Medio Oriente. Chiunque sa - molti lo scrivono apertamente da tempo e non a torto - che l’Europa va a rimorchio degli USA in politica estera.

E se fosse questo il caso?

Se - e sottolineo se - il duo Obama-Kerry avesse deciso di pressare stretto, strizzandolo nelle parti sensibili, il premier dimissionario Netanyahu? Se avessero deciso di far prendere uno spavento (serio) al governo israeliano, facendogli prima balenare una titubanza americana riguardo al solito veto in sede di Consiglio di Sicurezza ONU (che poi è stato garantito)?

Magari sussurrando poi, nelle segrete stanze, che non sarebbe dispiaciuto all’amministrazione USA se gli alleati europei avessero fatto arrivare a Gerusalemme un segnale chiaro e forte, per quanto irrilevante dal punto di vista pratico?

Facciamo finta che di questo si tratti.

Obama ha dato segni ricorrenti di non essere affatto un inerte, nonostante sia ormai un’anatra zoppa per aver perso il controllo di Camera e Senato. Ha costretto la Russia di Putin sulla difensiva, ha costretto Assad a rinunciare all’arsenale chimico facendogli solo un urlaccio, ha stupito favorevolmente il mondo sudamericano aprendo all’improvviso a Cuba, ha già fatto sudare freddo il governo israeliano durante l’ultimo conflitto di Gaza facendo ritardare ad arte la consegna dei missili antimissile e ha chiaramente fatto intendere ai generali del Cairo, stando zitto, che non dispiaceva affatto la loro mano dura contro la Fratellanza mussulmana, sia di qua che di là del valico di Rafah. Ed è alle prese con l'Iran in merito al programma nucleare.

Il quale Iran va convinto ad abbandonare le mire atomiche militari, ma che non può certo ritirarsi dal gioco senza contropartite, perdendo la faccia proprio di fronte al suo storico avversario sionista.

Perché non pensare quindi che Obama agisca ora in modo che Israele si prenda un po’ di paura, ma senza rischiare mai, nemmeno per un momento, di apparire in prima persona come quello che ha davvero silurato lo stato ebraico (che sarebbe come dichiarare ai quattro venti di voler essere l’ultimo dei democratici a ottenere la Presidenza per i secoli a venire)?

In altri termini l'Occidente ha dato un segnale alla popolazione israeliana in vista delle prossime elezioni: cambiate strategia o rischiate che l'isolamento diventi davvero pesante.

La maggioranza degli elettori dello stato ebraico non vuole più Netanyahu (il 51% è contro), pare, ma lui resta comunque in testa nei sondaggi con oltre il 34%. E la coalizione di sinistra non ha molte chance di vittoria.

Il rischio è che Israele non ceda a ricatti e, dopo le elezioni, se mai avrà un governo ancora più agguerrito di quello odierno, mandi a quel paese il presidente americano (peraltro già in via di uscita e senza alcun controllo del parlamento) e quell'Europa che con gli ebrei ha parecchi conti in sospeso. Magari cominciando a fare l'occhiolino a Putin, il quale osserva con nervosismo crescente (e impotente) la catastrofe siriana, l'ultimo dei baluardi russi in Medio Oriente. Sarebbe proprio inimmaginabile?

Fantapolitica. Forse.

Intanto vedremo se l’Europa si affretterà a reinserire Hamas nella lista dei cattivi ri-valutando il semplice fatto che ha compiuto atti di terrorismo e lo sanno tutti. Non fosse altro perché Hamas rivendica sempre i propri attentati; li ha compiuti contro civili israeliani a partire almeno dal 1989 fino ai tre ragazzini israeliani uccisi nel giugno 2014, con diverse centinaia di vittime e migliaia di feriti.

Magari un ripasso dello statuto fondativo di Hamas, dove cita un hadith, può essere utile: «L’ ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo…». Per concludere «Dio come scopo, il Profeta come capo, il Corano come costituzione, il jihad come metodo, e la morte per la gloria di Dio come più caro desiderio...».

Con buona pace degli errori procedurali e di risibili questioni “tecniche” la decisione della Corte europea è troppo becera perché possa essere mantenuta. A meno che non vengano depennate dalla black list anche organizzazioni come l'Euskadi ta Askatasuna, la Real IRA, le FARC o il PKK. Cioè si abbandoni ogni tentativo di definire il terrorismo.

Nel frattempo ci si chiede per quale motivo il Parlamento europeo non si decide a dichiarare anche, con tutte le ambiguità di cui è capace, il suo sostegno all’indipendenza di tibetani, ceceni, curdi, baschi, catalani, sudtirolesi e le numerose altre minoranze che da decenni chiedono, a voce o con atti che definiremmo terroristici (ma sono solo notizie di stampa), la loro legittima sovranità.

 

Foto: The Israel Project/Flickr

 



3 réactions


  • (---.---.---.243) 21 dicembre 2014 17:47

    E’ la premessa (Chiunque sa che l’Europa va a rimorchio degli Stati Uniti in politica estera) che è da dimostrare. A me pare che la bufala burocratica si spiega più semplicemente con le divergenze strategiche, rispetto ai 4 punti cardinali geopolitici, delle varie potenze che compongono l’Unione, che tanto sono unite quanto son divise. Divergenze che si rappresentano politicamente come azioni in più e spesso opposte direzioni da parte delle diverse istituzioni europee. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, che però si avvantaggiano in termini di rappresentazione politica dal fatto di avere nella presidenza un punto terminale di convergenza e di compromesso di massima visibilità.



  • (---.---.---.12) 21 dicembre 2014 20:06

    Le divergenze strategiche mi sembrano quasi zero, se si parla dell’opinione dei vari paesi. Ovviamente ci sono divergenze all’interno degli schieramenti politici, ma questo era scontato. Sta di fatto che il Parlamento europeo ha una maggioranza di centro destra e a maggioranza a votato la risoluzione finale che è stata un risultato di compromesso fra le varie tendenze. Sull’influenza della diplomazia americana avrei pochi dubbi, ma ovviamente il pensiero espresso nell’articolo è solo un’ipotesi personale. Peraltro che ci siano pessimi rapporti fra Obama e Netanyahu è cosa nota; non è facile immaginare come si svilupperanno le cose nel momento in cui USA e Iran sono sostanzialmente alleati nella guerra all’IS ma anche contrapposti nelle trattative sul nucleare.

    FDP


    • (---.---.---.12) 21 dicembre 2014 23:02

      aggiungerei un’acca smarrita...."a maggioranza ha votato la risoluzione finale..."


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