venerdì 29 giugno 2012 - Riccardo Noury - Amnesty International

Guerra e fame: un anno d’indipendenza del Sud Sudan

Alla vigilia del primo anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan, Amnesty International ha pubblicato un rapporto sui crimini commessi dall’esercito nazionale e dai gruppi armati d’opposizione e sui flussi indiscriminati di armi, per lo più ucraine e cinesi ma anche provenienti dal vicino Sudan, che hanno provocato danni e sofferenze alla popolazione civile.

Degli scontri armati lungo il confine, tra Sudan e Sud Sudan, intorno alla zona petrolifera contesa di Abyei, si è saputo poco. Il mantenimento dell’accordo per la smilitarizzazione dell’area regge a fatica.

Ancora meno informazioni sono giunte a noi sul conflitto interno tra le Forze armate sud sudanesi (Spla) e l’Esercito di liberazione del Sud Sudan (Ssla), la principale formazione armata di opposizione. Gli attacchi indiscriminati negli stati di Alto Nilo, Jonglei e soprattutto Unità hanno causato pesanti perdite tra la popolazione civile, con migliaia di persone costrette a fuggire. 

Si calcola che dal 20 al 25 per cento della popolazione non abbia potuto coltivare la terra nella stagione delle piogge. L’accesso agli aiuti umanitari è stato reso difficile dalla presenza delle mine lungo le strade.

Nel primo anno d’indipendenza, oltre alle inevitabili difficoltà legate alla costruzione di istituzioni civili, le autorità sud sudanesi hanno dovuto gestire il ritorno dal Sudan delle persone che avevano perso la nazionalità e i profughi interni causati dalla guerra con il Sudan e quelli, soprattutto nella regione di Mayom, causati dal conflitto interno. La situazione sta peggiorando.

Chi ha fornito le armi per alimentare il conflitto interno? Il rapporto di Amnesty International fornisce prove sull’uso di carri armati T-72M1 difabbricazione ucraina, impiegati dalle forze armate del Sud Sudan per attaccare le zone urbane di Mayom. Solo pochi mesi fa, cinque T-72M1 erano ancora presenti nel centro della città. Questi tank erano arrivati illegalmente, prima dell’indipendenza, via terra dal Kenya: qui, nel porto di Mombasa, avevano attraccato tre navi salpate dal porto ucraino di Oktyabrsk, appartenenti a compagnie ombra registrate nel territorio dell’Unione europea.

L’opposizione armata dell’Ssla ha usato invece fucili modello 56-1 di provenienza cinese nei combattimenti intorno a Mayom, Mankiem e Riak. Mine anticarro modello 72, sempre made in China, sono state seminate lungo le strade della regione di Mayom, rendendo anche difficile l’arrivo degli aiuti umanitari.

Un alto ufficiale dell’Ssla ha dichiarato ad Amnesty International che le sue forze hanno recentemente ricevuto dal Sudan una fornitura “nuova di zecca” di kalashnikov, mortai e mitragliatrici.

Lunedì si aprono, a New York i negoziati finali per l’adozione da parte delle Nazioni Unite di un Trattato sul commercio di armi. Nelle intenzioni di Amnesty International, questo trattato dovrebbe pretendere da tutti i governi di porre fine ai trasferimenti di armi di fronte al rischio che queste potrebbero essere usate per compiere gravi violazioni dei diritti umani. Il caso del Sud Sudan è uno degli esempi più evidenti di questa stringente necessità.




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