lunedì 11 settembre 2017 - Gaetano Barreca

Guaritrici | Il Taglio dei Vermi – Il Rito

Tra i racconti della tradizione popolare italiana che sin da bambino più mi hanno affascinato, ci sono quelli delle guaritrici. Donne con il “dono”, a cui ci si affidava in modo incondizionato per la loro conoscenza e il tangibile amore materno. Da piccoli, eravamo in molti curiosi di sapere chi fosse il lupo mannaro della nostra città, che alla fine era quasi sempre un vicino di casa o, nel mio caso, il tabaccaio di via San Giuseppe che si narrava avesse un occhio di vetro – leggenda metropolitana. Sappiamo poco invece delle guaritrici, donne con l’esistenza divisa tra sacro e profano che vivevano tra noi senza creare alcun scalpore. Ci si rivolgeva a loro per curare il fuoco di Sant’Antonio, le storte, la verminosi e il colpo della strega. In questo scritto mi occuperò della verminosi. Chi erano le guaritrici e quale era il loro ruolo all’interno della società?

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Il Taglio dei Vermi - Il Rito

Prendiamo ad esempio gli anni del secondo dopoguerra, con ancora un sistema di inesistente o scarsa telecomunicazione, e come protagonista una giovane madre che non conosce la natura dei dolori del proprio figlio. Consideriamo Nadira. In assenza di un dottore, a chi si potrebbe affidare una madre che vede il proprio bambino strillare e contorcersi dai dolori? Se sola in casa, di certo in preda alla disperazione, Nadira spalancherebbe la porta e uscirebbe di corsa in strada per cercare aiuto dai vicini o dai parenti, se li avesse. Una volta raggiunti, in quel momento di condivisa angoscia qualcuno di loro proporrebbe un’idea su come aiutare il bambino e una vicina probabilmente riconoscerebbe subito il “puzzo dei vermi”. A quel punto, senza preoccuparsi di orari e spese, tutti insieme correrebbero dalla guaritrice.

Il puzzo dei vermi è un odore che veniva percepito realmente, ma che aveva un’altra origine: era infatti odore di acetone, spesso presente nei disturbi digestivi causati dai vermi intestinali – gli ossiuri – ma anche in dispepsie di natura diversa. Gli ossiuri possono provocare disturbi neurologici quali insonnia, irritabilità, vertigini e convulsioni; disturbi gastro-enterici come vomito, nausea, dolori addominali. Si stima che in Italia il 50% dei bambini e adolescenti sia colpito almeno una volta da un’infezione di ossiuri. A differenza di quel che si può pensare ciò non ha a che fare con le condizioni igieniche.

Quando ero piccolo ricordo che io li ebbi, i vermi. Erano piccoli, bianchi e con attenzione erano visibili a occhio nudo nelle feci. Il medico mi prescrisse una dieta ricca di probiotici, da assumere il primo giorno e poi dopo quindici giorni. Ci disse, inoltre, di continuare a controllare le feci per vedere se persistevano e in caso di tornare. Avrò avuto circa cinque anni e ricordo che, durante quel periodo di guarigione, ogni volta che andavo al bagno chiamavo mamma e guardavamo dentro il gabinetto insieme per controllare se i vermi c’erano ancora. È un ricordo probabilmente intimo, ma che mi piace riportare qui perché testimonia il vero. Eppure non nego che, oltre a conoscere la mia vicina di casa, a cui si affidavano in molti per comprare uova e ortaggi del suo orto e togliere il malocchio – mai di martedì o venerdì – mi sarebbe tanto piaciuto conoscere anche una tagliatrice di vermi.

La prima domanda che mi posi quando iniziai a fare queste ricerche fu la seguente: perché i guaritori – o le tagliatrici nel nostro caso – sono quasi sempre donne?

La risposta non tardò ad arrivare: dopo aver letto il libro di Antonella Bartolucci, Le Streghe Buone, mi bastò poi riportare alla mente quel poco che conoscevo dell’immaginario del mondo contadino. L’uomo si alza al mattino presto e sta sempre fuori casa, la donna, anche se lavora, è sempre colei che si deve occupare di ogni problema riguardante la casa e i figli di tenera età, e dunque della loro salute dal momento del parto fino a tutta la crescita. Che siano giovani madri o anziane nonne, sono le donne che allevano i figli e intervengono nei momenti di crisi tra i quali le situazioni di malattia o di morte. Le donne, dunque, divengono le principali intermediarie quando le condizioni di difficoltà colpiscono l’ambiente familiare o il vicinato. Sono propense a capire il problema proprio per via della loro esperienza.

Trovo rassicurante sapere che figure come la tagliatrice di vermi – non solo a Bari, ma in molte parti dell’Italia e del Mediterraneo – in modo silenzioso fanno ancora parte del nostro tessuto sociale. Non si sostituiscono mai a un dottore, non ne hanno la pretesa. A dispetto del corrente pensiero capitalista, chi si affida alle guaritrici non ha bisogno di corrispondere alcun compenso in denaro, ma le ripaga con semplici beni primari o un’offerta a una chiesa o una carità a scelta del paziente. Così il debito della guarigione è saldato con il baratto e non rimane il peso della riconoscenza.

Come funziona il rito?

(La guaritrice) Colei che segna, interviene con un segno, formato da una parte orale, lo scongiuro, le preghiere o più semplicemente le parole (segrete, tramandate solo con l’approssimarsi della morte) e da una parte manuale, rappresentata da segni di croce e apposizione delle mani. (Bertani, 1981, 62)

La pratica si svolge contemporaneamente in due momenti: quello gestuale e quello verbale. La parte gestuale è rappresentata da segni di croce e apposizione delle mani che praticano al bambino un massaggio. Il vero momento fattuale, e sicuramente più affascinante e misterico, è nelle parole. La guaritrice sussurra tra le labbra una preghiera in lingua vernacolare di antica usanza e, soprattutto, uno scongiuro in cui spesso si fa riferimento al santo taumaturgo.

Prima di cominciare a recitare, la guaritrice si passa dell’olio nelle mani e si fa il segno della croce, chiedendo perdono a Dio per quello che sta per compiere. Segna poi il paziente e solo dopo procederà sul corpo di quest’ultimo, tracciando dei movimenti composti da gesti più piccoli eseguiti aprendo e chiudendo le dita tra l’indice e il pollice, il cui disegno complessivo sarà ancora il simbolo della croce. Il tutto viene ripetuto tre volte. I segni devono essere effettuati sul ventre, nella zona ombelicale dell’ammalato, e il tutto si conclude con un lieve pizzicotto. Dai gesti, infatti, viene il nome di questi guaritori, o segnatori, perché “segnano” il bisognoso e lo liberano dal malessere. È peculiare come, a differenza del resto d’Italia, solo nella città di Bari le persone che segnano i vermi prendano il nome di tagliatrici. Il nome deriva dal gesto conclusivo della guarigione, con le dita che si muovono come due lame di forbici a tagliare, appunto, i vermi ai bambini.

Mentre, come spiegheremo più avanti, il sapere della maggior parte delle guaritrici si tramanda tra le donne di casa, generalmente di suocera in nuora, la vicenda di come la signora Porzia sia diventata una tagliatrice di vermi è del tutto casuale. Una storia vera di integrazione e profondo bene che ritengo rappresenti appieno il carattere di accoglienza del nostro popolo. Una testimonianza che ho scelto di romanzare usando il personaggio caciarone della signora Gina, già protagonista del mio romanzo “Dopo il Funerale.” La signora Porzia è dunque la mia vera tagliatrice di vermi e, anche se conoscevo la sua storia, non avrei mai pubblicato questo libro prima di incontrarla di persona. Così, in un assolato giorno di fine maggio, mi sono presentato nel suo sottano nella Città Vecchia, con un mazzo di fiori tra cui una rosa che sapevo essere il suo fiore preferito. Mi recai da lei senza preavviso perché, sebbene fossi timorato da questo atteggiamento spontaneo, mi dissero che “qui è così che funziona.” Ero emozionatissimo e, oltre la tenda del basso, la trovai intenta a preparare l’impasto delle orecchiette nello stretto soggiorno, mentre la figlia stava già facendo bollire il sugo nella cucina accanto. Chiesi permesso e, posto da parte il tavoliere, la signora mi accolse con un sorriso. Mi offrì del limoncello fatto in casa, ottimo.

Quando mi presentai come scrittore interessato alla sua storia, la volli rassicurare dicendo che non ero lì per parlare di Benedetto, il fratello disabile assassinato brutalmente da un branco di fascisti nel 1977, ma del suo lavoro di tagliatrice. Questo è ciò che Porzia mi ha raccontato: «All’inizio, anche io non credevo a queste cose. In particolar modo perché mi era stato detto che queste donne bestemmiavano. Ma per necessità ho voluto imparare, tanto tempo fa, e ne sono felice. Una sera, una mamma di colore si recò da me perché il suo bambino aveva la febbre alta e non sapeva a chi rivolgersi. Infatti, a quel tempo non c’erano altre famiglie di colore a Bari Vecchia, e le persone non erano abituate ad avere relazioni con gente straniera, per paura di essere mal giudicate. Alcuni persino si schifavano. Quando portai la giovane donna dalla tagliatrice per togliere i vermi, questa non trovò il coraggio di toccare il bambino. Guardandolo, gridò: “In casa mia il sole non entra”. Ancora oggi, non so cosa volesse dire. Con il tempo, ho pensato che la tagliatrice si riferisse al detto “Addò trase u sole, non drase u dottore (ndr. Dove entra il sole non entra il dottore)” a significare proprio che non voleva curarla, non lo so!

Comunque, mi fece tanto male sentire il suo rifiuto, e così tornai a casa con la ragazza e il bambino, dicendo che avrei trovato un altro modo per aiutare quella creatura. Il mattino dopo, probabilmente per il gran senso di colpa, la tagliatrice bussò alla mia porta e mi chiese se volessi imparare. Io volevo aiutare il bambino e accettai. La tagliatrice mi spiegò quello che dovevo fare e io l’ho fatto. Mi ha fatto mettere l’olio alle mani e fatto fare i gesti e la preghiera. Non so come funziona, ma quella povera creatura smise di piangere. Lo faccio ancora. Ieri per esempio è venuta una madre con il figlio. Se posso aiutare, io do sempre una mano. Ma io lo faccio per amore, lo faccio per Lui» mi disse guardando un quadro di Cristo Risorto.

«Che fine ha fatto quella madre di colore?» chiesi. Porzia chiamò la figlia che stava girando il sugo e si fece aiutare ad alzare la cassapanca dove era seduta. Prese l’album delle vecchie foto e orgogliosa me ne mostrò alcune. Vedi» mi disse «questo è il bambino e questa la sua sorellina. È nata dopo. Madò che belli!» Baciò la foto. «Ormai sono di Bari Vecchia, devi sentire come parlano il barivecchiano! Qui li conoscono tutti come i figli di Porzia, gli vogliono bene e guai a chi li tocca. Ormai sono cresciuti» concluse mostrandomi fiera una tradizionale foto del bambino con il pisellino di fuori su un asciugamano «e io sono anche diventata la nonna dei loro figli. Sono la gioia mia.»

Quella donna era di una tenerezza disarmante!

"Qui la seconda parte, Il Lascito" dove svelerò la formula segreta del taglio dei vermi tramandato di generazione in generazione"

Tratto dalla sezione articoli e ricerche del libro “La Tagliatrice di Vermi e altri racconti” , di Gaetano Barreca, in uscita a fine settembre 2017 per la Wip Edizioni.



1 réactions


  • RobertaG (---.---.---.188) 11 settembre 2017 16:55

    articolo molto interessante! Le guaritrici esistevano anche qui a Ravenna, quando ero piccola mia madre mi ha portato qualche volta. Lo ricordo ancora. Grazie all’autore per questo bel ricordo, spero di incontrare altre donne come questa nella mia vita. Non perchè ne abbia più bisogno, ma perchè erano di na dolcezza e bontà infinita!


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