venerdì 27 aprile 2012 - Aldo Giannuli

Gli errori di Napolitano nello scontro con Grillo

Grillo, reagendo ad alcune dichiarazioni di Napolitano contro “la demagogia antipolitica” che alludevano al Movimento 5 stelle, ha attaccato il Presidente della Repubblica: “Ci si mette anche questo presidente dei partiti, ma qui è in gioco la Costituzione. Noi non siamo l’antipolitica, abbiamo già 130 consiglieri, lui deve stare super partes”.

 

 Immediate le critiche e dissociazioni di Di Pietro, Bersani ecc. che parlano di insulti al Presidente e di critiche inammissibili. La definizione di Napolitano come “presidente dei partiti” non mi sembra esatta (semmai tende a prevaricare le forze politiche ed essere più sensibile verso le ragioni della finanza), ma sinceramente di insulti non ne vedo, tanto più che si tratta della reazione ad un “intervento a gamba tesa” del Presidente nei confronti del loro movimento. Non intendo occuparmi qui della protesta grillina e del suo carattere più o meno antipolitico (ne parleremo in un prossimo pezzo) qui il punto da capire è: “il Presidente della Repubblica è criticabile? Ed entro quali limiti?”.

Sino alla fine degli anni settanta, il problema non si sarebbe posto: i Presidenti furono esposti a critiche molto aggressive, ad esempio Gronchi, Segni, Saragat e –soprattutto - Leone subirono attacchi violentissimi. Poi Pertini inaugurò un diverso stile presidenziale rivolgendosi direttamente all’opinione pubblica e scavalcando la mediazione delle forze politiche. Quel che lo rese assai popolare, conferendo alla figura del capo dello Stato un carisma prima sconosciuto.

Poi Cossiga, sottoposto ad attacchi molto duri per il caso Gladio (pensati per indurlo a dimettersi) reagì trasformando l’istituto dell’irresponsabilità presidenziale in una sorta di “insindacabilità” del suo operato, cosa assolutamente estranea alla lettera ed allo spirito della Costituzione. La cosa non servì a fermare le contestazioni (che proseguirono all’ultima ora del suo mandato) ma valse a porre le premesse di una sorta di “sacralizzazione” del Capo dello Stato non criticabile (almeno mentre è in carica).

A esaltare questa tendenza fu anche un caso per cui, tutti i presidenti successivi (Scalfaro, Ciampi e Napolitano) furono eletti con maggioranze di centro sinistra, mentre, dal 1994, la destra ha governato per quasi la metà del tempo (98 dei 215 mesi totali), litigando spesso con la massima carica dello Stato. Questi scontri erano spesso causati dalla prassi costituzionale assai disinvolta dei governi Berlusconi cui rispondeva una prassi non sempre correttissima del Capo dello Stato. Tutto questo portava ad una strana inversione delle parti: la sinistra (che sino a quel momento era stata la parte che più aveva polemizzato con i Presidenti precedenti) si votava alla più intransigente difesa quirinalizia, per cui ogni critica diventava un delitto di lesa maestà. La destra, che in tutta la Prima Repubblica aveva difeso costantemente la Presidenza della Repubblica, si convertiva a frequenti mugugni anti presidenziali.

Alla fine si è affermato (anche se in modo un po’ sghembo) un principio per cui il Presidente non è sindacabile, soprattutto non lo è da “sinistra”. Cosa discutibilissima, perché in democrazia nessun potere è sottratto alla critica, purché motivatamente espressa e in modo civile, senza insulti, calunnie o attacchi personali. Naturalmente anche le critiche e le motivazioni su cui si fondano possono essere sbagliate: fa parte del dibattito democratico discutere tutte le tesi, giuste o sbagliate che siano e tutte le cariche dello Stato sono criticabili per il modo in cui esercitano i poteri affidatigli; nel caso del Capo dello Stato, questo riguarda in primo luogo la difesa della Costituzione (principale compito affidatogli) e, di conseguenza, il più scrupoloso rispetto di essa nel proprio agire.

Tanto per essere schietti, diciamo subito che Napolitano è stato un Presidente molto spigliato, diremmo quasi brioso da questo punto di vista, sia per le cose fatte sia per quelle non fatte, e diamo qui un breve ed incompletissimo elenco di possibili critiche (ma ci torneremo in altra sede molto più diffusamente):

a-nei quasi due anni del governo Prodi ha controfirmato senza battere ciglio leggi come la Legge 3 agosto 2007, n. 124 di riforma dei servizi segreti che fanno a cazzotti con gli art 3, 101, 104 e 112 della Costituzione (tanto per fare un esempio);

b-nel primo anno di governo Berlusconi ha controfirmato, con altrettanta letizia d’animo, riforme sulla giustizia su cui ci sarebbe stato molto da ridire, ma, più ancora, ha consentito provvedimenti in materia di federalismo in aperto contrasto con l’art. 5 della Costituzione;

c-dalla fine del 2009, la sua prassi è andata via via invadendo campi non di sua pertinenza: ad esempio, per circa un anno la politica estera è stata di fatto curata direttamente dal Quirinale (anche se, bisogna ammettere, ciò trovava una sua parziale giustificazione nell’impresentabilità del Presidente del Consiglio che poteva fare viaggi di stato solo in Russia dal suo amico Putin);

d-fra gli sconfinamenti di campo del Presidente sono da segnalare anche interventi che definiremmo di “indirizzo storico culturale” (come le ripetute e non richieste esternazioni in materia di strategia della tensione e simili, subito raccolte da giornalisti compiacenti delle maggiori testate nazionali)

e-una certa tendenza a “dettare” l’agenda del Parlamento e del Governo, che va molto oltre il diritto di inviare messaggi alle Camere sancito dall’Art. 87. Peraltro, il dovere del Presidente di essere imparziale non riguarda solo l’equidistanza fra le forze politiche, ma anche quella fra le forze sociali e questo è stato uno dei punti più carenti della Presidenza Napolitano: in tutta la vicenda della riforma del mercato del lavoro i suoi interventi sono stati costantemente schierati con il Governo (ed, in parte con la Confindustria) e contro il sindacato. Vice versa, colpisce il suo assoluto silenzio in materia di riforma della Finanza (anzi ricordiamo l’assoluta tranquillità con la quale il Presidente accettò l’inclusione dei reati finanziari nella discutibile amnistia del 2006);

f-Anche alcune sue “scelte silenziose” meritano un commento. Ad esempio il caso della grazia a Sofri: concessa dal suo predecessore, venne bloccata dall’allora Guardasigilli Castelli, per cui ne derivò un conflitto fra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, risolto a favore della tesi presidenziale. La grazia tuttavia non diveniva esecutiva, perché nel frattempo Ciampi era giunto a scadenza. Un minimo di cortesia istituzionale avrebbe voluto che il nuovo Presidente desse esecuzione alla volontà del suo predecessore, assumendo l’atto della grazia non come una decisione personale ma come un atto di ufficio, tanto più che la questione era stata posta come conflitto fra poteri dello Stato, quindi trattata come atto dell’istituzione in quanto tale. Invece, non solo la grazia non era concessa, ma sulla questione calava un pesante silenzio. Di fatto, quella mancata conferma diventava un giudizio politico di merito che allineava Napolitano a Castelli, contro il suo predecessore. La conferma implicita verrà dal discorso del Presidente in occasione dell’”incontro delle due vedove” (Pinelli e Calabresi) il 9 maggio 2009.

g-Sempre in materia di atti non compiuti, ci sembra il caso di sollevare una questione totalmente ignorata: la Costituzione stabilisce l’obbligo di copertura delle spese per ogni legge non prevista dal bilancio (art 81). E’ noto, che questo è stato risolto per oltre trenta anni con il disavanzo finanziato dall’emissione di titoli di debito pubblico. E questo è accaduto anche durante gli ultimi governi di Prodi e Berlusconi. Anche se la soluzione adottata non contraddiceva la lettera della Costituzione, sarebbe stato più che opportuno, doveroso, un richiamo del Presidente al rispetto della ratio costituzionale, cercando di contrastare l’aumento del debito. Ma né Napolitano né i suoi predecessori hanno ritenuto di farlo, magari rinviando alle Camere qualche legge di spesa. Oggi si invoca un infausto (e poco credibile) vincolo di pareggio in Costituzione, ma non sarebbe stato costituzionalmente più corretto un intervento presidenziale mentre il debito si gonfiava come una mongolfiera?

h-Ma dove la condotta presidenziale rende costituzionalmente più perplessi è la crisi del novembre scorso. Certamente c’era una situazione di emergenza determinata dalla tempesta sui titoli di Stato, c’era un Presidente del Consiglio che non aveva la sensibilità di farsi da parte ed il ricorso immediato alle elezioni, in quel contesto, appariva finanziariamente troppo rischioso. Tutto vero. Tuttavia, se un governo di transizione, espresso dal Presidente e mandato al voto in Parlamento, era la soluzione quasi obbligata, questo non significa che ne dovesse scaturire una formula di governo di lunga durata (18 mesi) ed addirittura proposta anche dopo le prossime elezioni. Tanto più che noi abbiamo un sistema elettorale maggioritario, che è già uno strappo costituzionale in sé. Se poi le due ( o tre) principali forze politiche si alleano, praticamente sparisce l’opposizione e la forma di governo del paese diventa un’altra cosa rispetto a quella prevista dalla Costituzione. Per di più, questo governo “tecnico” (che più politico non si può) non è affatto neutrale nel conflitto sociale, sta apertamente dalla parte della finanza e vara riforme che vanno molto al di là della singola emergenza che ne ha determinato la nascita, in campi come la giustizia, l’università, i beni comuni. Di fatto, questo governo sta cercando di attuare un nuovo modello sociale polarmente opposto a quello descritto nella prima parte della Costituzione e, per di più, senza mai aver ricevuto una investitura popolare. Se non è un colpo di Stato ci siamo molto vicini.

i-Anche dal punto di vista formale la prassi Presidenziale è stata molto “sciolta”: le consultazioni avviate prima ancora delle dimissioni del governo in carica, la nomina sul capo di Monti a Senatore a vita, con efficacia in 24 ore, con l’effetto di rafforzare la sua eventuale maggioranza in Senato (dove era possibile prevedere maggiori difficoltà, se il Pdl non avesse accettato di votare la fiducia), il governo che chiede ed ottiene la fiducia prima ancora di essersi completato con la nomina dei sottosegretari, ecc ecc: neanche in una bocciofila di quartiere si sarebbe statutariamente così allegri. Mi direte che si tratta di rilievi formali: certo, ma una democrazia parlamentare (o comunque liberale) è fondata su procedure formali da rispettare.

j-Infine, poco consono al dovere di imparzialità ci è sembrato il suo intervento diretto contro il Movimento 5 stelle che avrà certamente i suoi aspetti criticabili, ma non spetta al Capo dello Stato occuparsene.

Ed allora, basta per dire che questo è il presidente costituzionalmente più spensierato che abbiamo avuto in sessanta anni e che, su questo punto, Grillo ha ragione?

 

Ps: prevengo critiche ed allarmi: non sto diventando grillino e riparleremo del Movimento 5 stelle.



7 réactions


  • (---.---.---.66) 27 aprile 2012 18:07

    Solo una cosa.

    Il termine "Grillino" o "Grillini" è arbitrario e fastidioso, oltre che sbagliato.
    Chi vota e sostiene il movimento 5 stelle, lo fa per i temi trattati e per il programma, non per una viscerale simbiosi con Grillo. Per lo stesso motivo non si sentirà un ballarottiano, chi segue Ballarò, ne un Vespiano, Vespasiano, o Vespista, chi guardi Vespa e il suo programma.
    Più corretto (molto di più....) sarebbe chiamarli "Sostenitori del movimento a 5 stelle".
    Già... dimentico il pressante impulso di molti a manipolare i significati, inventando pseudonimi improponibili come "Termovalorizzatore " per gli inceneritori, o "Montagna assassina" al posto di: "Disboscamento selvaggio".
    E ora che Grillo raccoglie sempre più consensi, vai di Grillini!

    Non vale la pena di chiedersi se sia un termine appropriato. Se qualcuno lo usa, "significa" che si può usare liberamente. Che suoni offensivo è irrilevante.
    Poi, con un po di fortuna, a qualcuno potrebbe venire in mente il "Grillini" del movimento Gay, quindi alla fine è un po come dare deì "mezz’uomini", anche ai sostenitori del movimento 5 stelle!
    "Grillomani" sembrava eccessivo....?



  • (---.---.---.121) 27 aprile 2012 18:32

    VIVA GRILLO


  • (---.---.---.245) 27 aprile 2012 18:54

    Complimenti all’autore per la preparazione sull’argomento e la chiarezza espositiva. Mi associo anch’io alla critica sopra per la "scivolata" sull’uso di un termine inutilmente offensivo per identificare comuni cittadini che, pur sotto la spinta di un altro cittadino, sicuramente più famoso e con un’indubbia capacità comunicativa come Grillo, ritrovano il senso civico e la fiducia nella politica e guardano con speranza a questo movimento partito dal basso.


  • (---.---.---.251) 27 aprile 2012 19:47

    Tra i poteri del presidente della Repubblica c’è quello di "indirizzo" che si espleta nei suoi discorsi o nelle sue comunicazioni agli altri poteri dello Stato. Il Presidente interpreta la nazione sia nella difesa della Costituzione che nel solleticare la politica ad affrontare in qualche modo un argomento. Quindi è uno dei suoi poteri di intervento e questo lo si può trovare in ogni testo di diritto Pubblico o Costituzionale.

    Altro discorso è il caso "Grillo". Se, e sottolineo "se", Napolitano si fosse rivolto al partito d Grillo ha ragione quest’ultimo ad arrabbiarsi.
    Ma credo, nel senso che "io" ho dato a quelle parole, il Presidente riassumeva un periodo attuale dove la politica è attraversata da porcate di ogni tipo e da ogni parte. E reprimendo questo comportamento da parte dei (alcuni, sempre alcuni) politici poneva l’ attenzione al rischio che tutto ciò generasse anti-politica guidata dal populismo e dalla demagogia. Ed è un discorso corretto. Perchè è un processo che spesso nella storia ha portato a pagine drammatiche, anche in Italia. E molte dittature o sovvertimenti anti-democratici, sono nati perchè hanno approfittato di fasi di debolezza politica.
    Temo che Grillo, al centro dell’attenzione da qualche giorno mentre è abituato "lui" a fare lo stesso con gli altri, abbia saltato subito alla conclusione sentendosi parte in causa. 
    E, come al solito, se tocchi Grillo hai detto peste per i Grillini. 

    Se penso a populisti e demagoghi, me ne vengono in mente parecchi di questi giorni, dove Grillo è l’unico di questi che non sta in politica ma finge di mandarci altri.
    Il guaio però è che il presunto programma del Movimento 5 stelle, è un elenco di potenziali referendum non un progetto per il paese. Non c’è scritto cosa fare con le pensioni, con il lavoro, con i precari, con la sanità, con i conti pubblici, con i creditori dello Stato, ne che politica con l’immigrazione. Insomma quale politica per il futuro di questo paese.

    Io credo che sia ancora la sinistra a poterlo fare, e spero che lo faccia lei e non il primo gruppo di volenterosi, branco ma non partito.
     


  • Nicola Spinella Nicola Spinella (---.---.---.104) 27 aprile 2012 22:05

    Inserire il pareggio di bilancio in costituzione è come costringere una donna ad essere bella a tutti i costi: potrà, certo. Ma quanto pagherà di chirurgo plastico???


  • (---.---.---.233) 29 aprile 2012 03:59

    Alla base ci sta che in Italia si eleggono dei personaggi che hanno partecipato attivamente allo sfascio del paese. Il Presidente era un comunista, una sinistra che ha finito per arrendersi alle bombe della CIA e alle torture applicate ai dissidenti durante gli anni ’70 (Da Amnesty International). Questo paese e’ la versione europea delle canaglie sud americane, intellettuali falliti e fascisti ignoranti, un cocktail pericoloso. Davide Manodori.


  • pv21 (---.---.---.182) 1 maggio 2012 19:52

    Prossima chiamata >

    Monti ama precisare di essere stato “chiamato” per rimediare ai mali fatti dai governi passati. Da dicembre il Debito è cresciuto di altri 100 miliardi e sfiora ormai quota 2000. Sono oltre 80 miliardi all’anno di interessi da pagare. La disoccupazione è vicina al 10% e la pressione fiscale supera il 45%.

    Cosa fare?
    Per Monti basta istituire un apposito Comitato e “chiamare” altri 3 super-tecnici incaricati di revisionare la spesa pubblica. Non sarà tuttavia “scongiurato” neppure il rischio di un prossimo aumento dell’Iva sui beni di largo consumo. Così la lista dei “sacrifici” resta lunga e non c’è alcun “segno” di inversione.

    Cosa manca? Manca la “chiamata” più decisiva.
    Per i partiti la “chiamata alle urne” è la vera sfida “politica” di capacità progettuali. Il passaggio “obbligato” per la formulazione di strategie di governo incisive e tempestive.

    Tornare alle urne è il solo modo di “scegliere”, per tempo, la via d’uscita dalla recessione. Non si esce aspettando tempi migliori.
    Governare non è performance da teatrino di Pantomima e Rimpiattino


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