giovedì 6 gennaio 2011 - Pere Duchesne

Giornalisti, egogiornalisti e bytevendoli (e le sovvenzioni statali)

Una volta si chiamavano pennivendoli i gironalistucoli che scrivevano le corrispondenze dai paesi periferici per i grandi giornali, o così si chiamavano in tono dispregiativo tutti quelli che mettevano la propria penna al servizio di chi meglio pagava. Ora non si usa più la penna, ma i computer e l’esistenza di centinaia di canali TV e di giornali online ha moltiplicato i “bytevendoli”, che per emergere e farsi notare, oltre che rendere servizio ai propri padroni (pardon, finanziatori), devono strillare più degli altri. Sono quelli che costituiscono la canea che trenta volte al giorno circonda il viso dei politici con una selva di microfoni e registratori, per cogliere le parole che decidono dei destini del mondo: e fanno diventare protagonisti, magari per poco tempo, anche degli illustri Carneadi, come ad esempio il signor Cicchitto in questi mesi. Sono quelli che assediano i luoghi dei crimini, che rivolgono le domande idiote ai parenti delle vittime e a qualunque altra persona alla ricerca di visibilità TV, sono quelli dei più ignobili pezzulli che riempiono i telegiornali.

Dovrebbero esistere poi ancora i giornalisti tout court, degni di questo nome, ma è difficile trovarli: ad esempio i 1800 giornalisti che lavorano in RAI, lo sono realmente o sono solo al servizio dei partiti che in quel posto li hanno sistemati? E tutti quelli in Mediaset, non ho idea di quanti siano? Esiste poi una categoria di giornalisti per i quali la professione è solo un’occasione per soddisfare il proprio smisurato ego, e riempire il portafoglio, e sono quelli delle TV: fanno trasmissioni sempre più strillate, l’importante è fare audience, il giornalismo è un’optional. Sono strapagati, sono anti-qualcuno finché esserlo fa notizia, poi magari si cambia tema e bersaglio. Due di questi, i signori Santoro e Gruber, sono stati persino parlamentari europei, ma sono tornati in TV prima del termine del mandato: evidentemente a Bruxelles, nessuno “li filava”, non avevano la scena, e poi forse guadagnavano meno. E Marco Travaglio? Quando lo si legge solamente, si è quasi sempre d’accordo con quello che dice, ma in video il suo narcisismo è decisamente insopportabile, è uno che dovrebbe limitarsi a scrivere e farsi vedere il meno possibile. In realtà, questi egogiornalisti sono “contigui” ai politici, senza di loro non esisterebbero, e quindi la simbiosi deve continuare: ora è tutto facile con un Berlusconi al governo, ma quando questo non lo sarà più, dovranno inventarsi qualche altro bersaglio. Basta vedere le loro trasmissioni, girano sempre le stesse persone che dicono sempre le stesse frasi fatte, e loro invece di fare informazione, incitano allo scontro, purchè la gente guardi.

Esattamente come fanno i giornalisti dei servizi sportivi (e qui è stato difficile usare la parola “giornalisti”). Certo che bisognerebbe avere uno strumento più affidabile di quello attuale per misurare l’audience, un metodo basato su pochissime persone da cui con calcoli statistici (che dovrebbero essere spiegati e non semplicemente sparati), ricavano i milioni di spettatori fino alla singola unità. La ridicola esiguità del campione lo espone a rischi di influenze esterne e poi nessuno potrà mai calcolare quanti fra i milioni che seguono il signor Santoro lo guardano per insultarlo. Ci sono poi quelli che fingono imparzialità e che usano toni calmi, il cui prototipo è il signor Fazio: con la sua aria da capo dei chierichetti, fa giornalismo di parte con la pretesa di fare approfondimento. E ora è una certa parte, domani non si sa, i piccoli borghesi di questo tipo seguono sempre l’onda, purchè i milioni del contratto siano assicurati. E poi da piccoli borghesi aspirano alle rivoluzioni, ma le giudicano troppo scomode per farle. Guardate il signor Fazio quando intervista i capi storici come ad esempio il signor Ingrao: ha lo sguardo adorante, nei suoi occhi sfavillano le immagini della rivoluzione, delle bandiere al vento del progresso, e non gli passa nemmeno per la testa che il signor Ingrao, se le cose nel 1948 fossero andate diversamente, sarebbe magari diventato il nostro Ingraescu, che è stato al servizio dell’URSS, e che da buon rivoluzionario italiano, vive molto bene con lo stipendio dello stato. Ma le storie di ieri sono vecchie, nessuno le ricorda e nemmeno vuole ricordarle. Guardando il signor Vespa, come si fa a dimenticare che una volta il suo “editore di riferimento” era a Piazza del Gesù, parole sue? E il signor Santoro che è andato a lavorare un paio d’anni in Mediaset? allora il signor B. era bello e bravo? E la signora Gruber, passata dai giornali democristiani dell’Alto Adige al TG1 del signor Vespa, sul quale non ha mai avuto nulla di ridire se non dopo il ribaltone politico che ha portato alla distruzione della DC?

La democrazia italiana è a rischio non solo per una classe politica corporativa e di scarsa personalità, ma per un giornalismo ormai diventato protagonista della vita politica e non cronista della stessa. Per quanto riguarda la carta stampata, gli ultimi giornalisti veri sono forse stati Montanelli (prima a lungo demonizzato dalla sinistra e poi corteggiato, sia pure con il suo bizzoso carattere) e Biagi (non quello però degli ultimi anni, ripetitivo, noiso ed occupato a farsi un’aureola di martire). Ora della razza dei veri giornalisti mi sembra sia rimasto solo Ettore Mo. Molti invece sono rimasti di quelli la cui occupazione principale è quella di assicurarsi le sovvenzioni dello stato, quelle vergognose sovvenzioni che fanno dei giornalisti una corporazione protetta. Se una persona del popolo delle partite iva vede calare il lavoro e quindi il fatturato, non ha protezioni sociali: oltre a tirare la cinghia, deve cercare di cambiare, di fare qualcosa di nuovo. I giornalisti no, non hanno problemi, se fanno giornali che non vendono, se scrivono cose che nessuno legge, nessun problema, interviene lo stato. Vedi le ultime dichiarazioni dei signori di Liberazione e del Manifesto: pretendono le sovvenzioni, i loro giornali devono vivere (perbacco, sono l’élite culturale e morale del paese) e quindi tutti devono pagare. Esiste persino un giornale dal titolo “Il campanile” che fa capo al signor Clemente Mastella, che riceve sovvenzioni per un milione di euro! Più di così, non credo si possa cadere in basso. Questi milioni ai giornali sono parte di quelli che mancano alla riforma scolatica, quella contro la quale i giornalisti protestano, inveiscono e pontificano, ma intanto incassano in silenzio.



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