venerdì 22 settembre 2017 - UAAR - A ragion veduta

Fede: non c’è più religione. Quando i credenti smettono di essere la maggioranza

È ufficiale: la maggioranza dei cittadini britannici è non-credente. Questo il dato che emerge dal sondaggio “Religion in Britain in 2016”, consultabile sul sito del Centro Nazionale per la Ricerca Sociale.

I numeri sono sbalorditivi, specialmente se analizzati per fasce d’età. Perché se, overall, i non-credenti rappresentano il 53% della popolazione britannica, tra i più giovani la maggioranza non-credente si fa ancora più grande: 61% tra i 25 e i 34 anni e addirittura 71% tra i 18 e i 24 anni. I credenti sono ancora in maggioranza soltanto tra gli over 65 — il che è tutto un dire… I più giovani, insomma, non credono più in Dio, forse perché ormai persuasi che si possa essere “Good without God” (“Buoni senza Dio”), per usare uno slogan degli Humanists UK, l’equivalente britannica della nostra UAAR.

E pensare che soltanto trent’anni fa i cristiani erano una maggioranza schiacciante in Gran Bretagna: quasi il 70% contro il 30% di non-credenti. Sulla base di questa superiorità numerica le comunità cristiane, e in special modo la Chiesa Anglicana, hanno sempre giustificato tutta una serie di privilegi accordatigli dallo Stato britannico. Si pensi ad esempio ai 26 vescovi anglicani non eletti che siedono di diritto nella Camera dei Lord in quanto “Lords Spiritual” (“Signori spirituali”). O ancora alla spinosa questione delle “Faith Schools” (“Scuola confessionali”), ovvero scuole “a carattere religioso” finanziate tuttavia dallo Stato — stiamo parlando di circa un terzo di tutte le scuole statali in Inghilterra e Galles.

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A tal riguardo è estremamente significativa la riflessione di Andrew Copson, direttore esecutivo degli Humanists UK nonché presidente della IHEU: “Com’è possibile che il 97% dei giovani oggi sia non-anglicano, ma circa il 20% delle scuole statali dove andranno i loro figli appartenga alla Chiesa Anglicana? Più in generale, come può la Chiesa Anglicana rimanere legittimamente la Chiesa di stato ufficiale, quando rappresenta una così piccola porzione (il 15%) della popolazione?”

Una delle paradossali conseguenze di questo calo di consensi è che, dal 2014, ci sono più studenti nelle scuole anglicane che fedeli nelle medesime chiese. Un dato imbarazzante, messo acutamente in luce dagli umanisti britannici e purtuttavia ignorato sia dal parlamento nazionale che dalla Chiesa Anglicana stessa.

Di fronte a tutti questi dati, ho ripensato con una certa ironia ad una battuta fatta da una giornalista cattolica a Richard Dawkins durante una puntata del The Big Questions, famoso talk show della BBC. Il tema di quella puntata del febbraio 2012 era: “La Gran Bretagna è un paese cristiano?” Cristina Odone, in passato articolista del The Catholic Herald, messa alle strette dagli argomenti dei suoi avversari umanisti sfoderò il più banale degli argomenti, quello della maggioranza: “Vogliamo giocare con i numeri? E allora diciamo che 7.000 membri della National Secular Society valgono quanto 7.000 membri della British Sausage Appreciation Society” — ovvero un’associazione di “amanti della salsiccia”, a quel tempo ancora in vita.

Che cosa direbbe oggi la Odone a distanza di soli 5 anni, quando ad essere in schiacciante minoranza è lei con i suoi confratelli cattolici, fermi al 9% della popolazione? Questo non lo sappiamo. Sappiamo però la triplice lezione che, qui in Italia, possiamo trarre dalla sua gaffe.

L’esacerbazione del principio della maggioranza è alla base dei regimi teocratici

Innanzitutto l’insostenibilità logica e politica dell’argomento della maggioranza, secondo il quale una determinata confessione religiosa, se maggioritaria, può di diritto occupare una posizione privilegiata rispetto alle altre. No, nulla di più sbagliato. L’esacerbazione del principio della maggioranza è alla base dei regimi teocratici, presenti come passati. Noi viviamo — e vogliamo continuare a vivere — in uno Stato, almeno in principio, laico e democratico. E uno Stato che si voglia davvero tale non deve privilegiare né discriminare nessuno sulla base dell’appartenenza religiosa.

Seconda lezione: in Europa la società è in continuo mutamento e si sta effettivamente secolarizzando, con buona pace di conservatori e teorici del post-secolarismo. Per questo motivo appellarsi a radici lontane e tradizioni crepuscolari è semplicemente anacronistico. Quanto è accaduto in Gran Bretagna negli ultimi trent’anni sta accadendo lentamente e silenziosamente anche in Italia, come dimostrato da una ricerca del 2015 dell’Eurisko, la quale ha registrato come sempre più giovani non credano in Dio (28%), specialmente al Nord, dove la percentuale sale addirittura al 37%.

E qui arriviamo alla terza e ultima lezione che possiamo trarre da tutto ciò, la più importante a mio avviso: l’urgenza di una presa di posizione chiara ed inequivocabile di fronte alla questione religiosa. In un paese in cui la politica legifera ancora rincorrendo lo spettro di una imprecisata maggioranza cattolica, è importante che i non-credenti si definiscano non-credenti — esplicitamente, pubblicamente, senza vergogna. In un paese in cui ancora il 90% dei bambini viene battezzato ma soltanto il 13% dei giovani va ogni domenica in Chiesa, l’importanza di “piccoli gesti anticonformisti” — non battezzare i propri figli, non sposarsi in Chiesa, sbattezzarsi, ecc. — è fondamentale.

Non esistono ricette predefinite, e ci sono molti modi per agire in tal senso. Ma, citando uno slogan (censurato) degli umanisti britannici: per amor di Dio, se non siete credenti, ditelo! Quello che l’Italia sarà tra trent’anni dipende da noi, da quello che decideremo di fare oggi. In parole, opere e omissioni.

Giovanni Gaetani



1 réactions


  • Antonio Gallo Antonio Gallo (---.---.---.96) 22 settembre 2017 16:51

    Un buon articolo che oltre a porsi la domanda, dovrebbe cercare di dare almeno un cenno di risposta: "quando i credenti smettono di essere la maggioranza" ... cosa succederà? 


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