Faro di Roma. “Con Vittorio l’utopia è approdata a Gaza. Mio figlio e i sognatori che non hanno mai smesso di sognare”. Egidia Arrigoni
In una narrazione commossa e appassionata, Egidia Beretta Arrigoni racconta l’infanzia del figlio Vittorio, che non era né un eroe né un martire, ma solo un ragazzo che ha voluto riaffermare, con un impegno autentico, quanto i diritti umani vanno rispettati e difesi. Ovunque. Così la madre di Vittorio Arrigoni racconta la breve vita di suo figlio, il cui barbaro assassinio, avvenuto a Gaza nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, è stato pianto dei giovani di tutto il mondo.
Egidia Beretta Arrigoni nel libro ripercorre il viaggio nella vita e per il mondo di Vittorio (Perù, Congo, Togo, Libano) come un estremo atto d’amore per il figlio, diventando testimone diretta della sua esistenza, soprattutto tra i giovani e nelle scuole, per trasmettere l’importanza di un attivismo speso per l’Utopia, formatasi anche tra le mura familiari con l’esempio di genitori impegnati nel sociale per tutelare i diritti dei più deboli.
Vittorio non voleva essere sepolto sotto nessuna bandiera e voleva che sulla propria lapide venisse scritta la celebre frase di Nelson Mandela “Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare”.
Vittorio era capace di sentire nel profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Nei primi viaggi, cercava la sua dimensione tramite il lavoro di volontariato, in situazioni sempre difficili, mettendosi semplicemente al servizio degli altri, cercando la pace attraverso la ricerca della giustizia per gli oppressi, i deboli, i reietti del mondo, intessendo affinità spirituali, intime, quasi mistiche con i bambini che incontrava a Gaza e nei suoi viaggi, nella gioia di riconoscersi simili, in un’innocenza ritrovata.
Vittorio ha compiuto i sui primi viaggi per uscire da un mondo che gli stava stretto, ma è stato grazie ad essi che ha maturato quella consapevolezza umana che poi è diventata fondamento della personale esistenza. Vittorio comprese che il malessere interiore, la ricerca del senso del vivere potevano trovare risposte attraverso la fratellanza, la solidarietà, la condivisione delle realtà difficili, spesso tragiche, che incontrava nel proprio cammino.
Nel 2002 Vittorio affrontò il primo viaggio in Palestina. I messaggi alla famiglia restituivano un ragazzo pieno di sconcerto per i drammi a cui assisteva ogni giorno. Non si capacitava del fatto che nella stessa Gerusalemme, città multiculturale, crogiolo delle tre religioni monoteiste, si potesse praticare la segregazione di una parte della popolazione. Come criticava l’estremismo di Hamas, al tempo stesso Vittorio contestava duramente anche la politica di Al Fatah, soprattutto dopo la morte di Arafat, quando la corruzione dilagante aveva ormai travolto anche la forza più genuina e autorevole della Palestina. Vittorio scelse di praticare l’interposizione nonviolenta, mettendosi tra due belligeranti, sia tra persone e carri armati e bambini e tra manifestanti e poliziotti pronti a sparare. Frapporsi, mettersi in mezzo, tramite la terza via della nonviolenza attiva e della Resistenza civile. Si trattava di una pratica pericolosa come dimostra la tragica vicenda di Rachel Corrie.
A Vittorio, l’idea scaturita dagli accordi di Oslo, che prevedeva una soluzione con due popoli e due stati, non convinceva. I fatti gli davano ragione. Israele continua ad accaparrarsi territorio, riducendo sempre più lo stato palestinese. Vittorio pensava che la vera soluzione risiedesse nella costituzione di uno Stato con due popoli dotati di uguali diritti e dignità: uno Stato multietnico e non etnocratico. Nei suoi reportages, Vittorio raccontava e denunciava la vita negli ospedali, le vittime, la violenza, la distruzione, la morte e insieme ai massacri, riuscì anche a raccontare l’umanità che pullulava nella striscia di Gaza.
L’opinione pubblica internazionale non sembra indignarsi per quanto accade in Palestina e i potenti della terra non si mobilitano per fermare il massacro. L’operazione “Piombo Fuso” era considerata un problema interno allo Stato di Israele e approvata con la consueta sudditanza. Nonostante la distruzione che provocò l’operazione militare “Piombo Fuso”, nonostante le ferite a morte nei cuori, nonostante la disperazione, si avvertiva a Gaza il desiderio assurdo di confrontarsi con le iniziative, i pensieri, i sogni di questo ragazzo che trascinava un popolo intero per liberarlo dalla rassegnazione. Così non esistevano più nemici esterni come Israele ed interni come Hamas e Fatah che potessero impedire alle giovani e ai giovani palestinesi di sognare.
Con Vittorio, l’utopia era approdata a Gaza.
Quell’utopia era così forte da convincere tutti che il mondo che abbiamo dentro, i sogni, le aspirazioni, le speranze, fossero una dimensione reale e che ciò che era fuori, la guerra, i soldati, il razzismo, i diritti violati, la morte, fossero un’alterazione della realtà che con la nostra determinazione potrà essere abbattuta.
Vittorio viaggiava seguendo la rotta meno praticata dai vascelli umani, una navigazione lenta e inesorabile in direzione della terra degli ultimi, i dannati dall’indifferenza, i condannati dall’oblio, attraverso gli scritti, i versi e le prose per “Restare Umani”, quando la guerra riduce l’uomo in una poltiglia contaminante di odio.