sabato 14 dicembre 2013 - Osvaldo Duilio Rossi

Essere un altro #6

Immagina che uno sconosciuto, entrato in casa tua, dimostri di poter contestare la tua identità.

Chi è? Cosa vuole ottenere? Come riesce a manipolare le informazioni sulla tua vita? Ma soprattutto: tu chi sei?

Un romanzo a puntate sulla fragilità dell'identità nell'era di Internet.

 

Arnaldi manteneva egregiamente il controllo della situazione. Era riuscito a dimostrare che, invece di trovarmi a casa, due sere prima mi trovavo seduto al tavolo di un bar con una sconosciuta. Ora doveva procedere con l’inganno: «Chi è la donna ritratta insieme a lei in quelle fotografie?»

Ovviamente non sapevo chi fosse la donna, mentre lui ne era pienamente consapevole. Gli dissi sfacciatamente ciò che pensavo. Mi rispose che era contrariato dal mio atteggiamento.

«La reputavo più intelligente», commentò. «Di fronte a questi scatti, addirittura io inizierei a dire tutto quello che so».

Sarebbe stato assolutamente inutile parlare di prove a mio favore. Ovviamente ancora non avevo preso l’abitudine di fotografarmi ogni dodici ore esibendo un quotidiano e un orologio pubblico. I miei pensieri si incupirono ulteriormente appena capii che il semplice fatto che Arnaldi fosse impegnato ad articolare delle prove significava che avrebbe potuto usarle contro di me in chissà quale situazione. Mi avrebbe trascinato in un’aula di tribunale? Mi avrebbe fatto arrestare? Mi avrebbe ucciso? Mi confondevo sempre più e sentivo di non riuscire a controllare la situazione.

«La sua ostinazione comincia a importunarmi», commentò tenendo gli occhi fissi sui miei.

«Ma sarò ugualmente soddisfatto se lei risponderà alla mia prossima domanda. Di cosa avete parlato l’altro ieri sera con quella signora?»

Dette un colpo di tacco sul pavimento e automaticamente risposi di non avere mai parlato con quella donna.

Mandò nuovamente gli occhi in giro per la stanza con un’aria di sufficienza. Disse che non riusciva a capacitarsi di quanto fossi ingenuo. Disse che, al posto mio, non sarebbe riuscito a sopportare che un altro, un estraneo, venisse in casa a dimostrarmi che stavo raccontando un mucchio di frottole. Allora dalla solita tasca estrasse un piccolo registratore a bobina, lo posò sul tavolo e premette il tasto di avvio.

Si sentì una voce femminile dire che ero uno stronzo, ma senza rabbia, anzi pareva quasi lusingata dal fatto di potersi permettere una confidenza tale. Poi la mia voce rispose che non ero stronzo, ma che mi disegnavano così. Era proprio la mia voce a uscire dal registratore, mentre il nastro girava sotto i miei occhi sbalorditi. Dalla bobina aggiunsi che sarebbe stato meglio parlare di persona, invece che al telefono, che io e la donna avremmo dovuto incontrarci al solito posto, e la conversazione terminò.

«Ora lei mi dirà di non avere mai sostenuto questo colloquio e di non conoscere quella voce», mi anticipò Arnaldi guardandomi in faccia, «e mi dirà anche di non sapere che quella con cui lei ha parlato nel nastro è la stessa donna in compagnia della quale è stato ritratto nelle fotografie che abbiamo visto prima.»

Mentre parlava, mi sentivo svenire e riuscivo a pensare a una sola domanda sensata, la stessa che mi fece Arnaldi: «Di chi è la voce maschile registrata su questo nastro?»

Ovviamente, la mia, risposi.



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