Ermete Ferraro: la nonviolenza attiva come stile di vita
di Laura Tussi su FARO DI ROMA
Intervista a Ermete Ferraro referente M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) della Sede di Napoli e, dal 2023, Presidente nazionale.
Intervista a Ermete Ferraro referente M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) della Sede di Napoli e, dal 2023, Presidente nazionale. Insegnante e educatore, autore di libri, saggi ed articoli, oltre a collaborare con le redazioni del Centro Gandhi edizioni di Pisa, di Pressenza Italia e della rivista di V.A.S. Nuova Verde Ambiente, dove cura una rubrica sull’ecopacifismo. E’ curatore di vari siti web associativi, di due blog e di alcune pagine sui social.
“Praticare la nonviolenza attiva come stile di vita, come mezzo di riconciliazione nella verità e mezzo di trasformazione personale, sociale, economica e politica”. È questo lo scopo delle donne e degli uomini che fanno parte del Movimento Internazionale della Riconciliazione, sezione italiana della rete globale International Fellowship of Reconciliation. Per parlare delle attività del Movimento Internazionale della Riconciliazione, ma anche della situazione geopolitica attuale, con un focus sui temi dei diritti, della nonviolenza e del pacifismo, abbiamo fatto una chiacchierata con Ermete Ferrero, coordinatore della sede di Napoli nonché, dal 2023, Presidente nazionale del MIR.
Qual è la caratteristica che più ti rappresenta – tenendo conto delle tante e svariate questioni di cui ti sei occupato fin dagli anni ’70 – come la ricerca costante di un collegamento logico ed etico tra le varie attività pacifiste e nonviolente. Puoi parlarne?
Fin dalle prime esperienze come obiettore antimilitarista, infatti, il naturale collante fra i miei diversi interessi è stata una visione della Nonviolenza come scelta globale, come bussola per orientare le scelte successive e coniugarle in una prospettiva unitaria. I cinque pilastri della mia formazione personale (religioso, linguistico, sociale, pacifista ed ecologista), mi sono quindi serviti come supporto per provare a costruire un pensiero ed un’azione quanto più coerenti. Dai principi della Nonviolenza attiva (innocenza, rispetto delle diversità, condivisione, comunicazione, cooperazione, costruttività, empatia) credo di aver tratto le basi per un progetto complessivo: socioeducativo, ecosociale ed ecopacifista.
Altro punto fermo della tua esperienza ultracinquantennale è stato quello di mantenere un giusto equilibrio tra le tre classiche dimensioni del pacifismo (ricerca, educazione ed azione), per evitare di cadere nella tentazione di un interesse solo teoretico, o di un impegno esclusivamente educativo oppure di un attivismo solo movimentista. Vero?
Costruire la pace, a mio avviso, richiede uno sforzo per collegare questi tre ambiti, per essere più credibili ed efficaci nella opposizione alla follia del militarismo, del riarmismo e della guerra, ma anche per sostanziare le proposte alternative in un effettivo ‘programma costruttivo’.
Puoi raccontare in breve la storia del M.I.R.?
Il Movimento Internazionale della Riconciliazione, la più antica organizzazione pacifista italiana (1952), è la branca nazionale dell’I.F.O.R. (International Fellowship of Reconciliation), prestigiosa organizzazione mondiale di matrice spirituale ed ecumenica fondata nel 1919, che tra i suoi soci ha annoverato premi Nobel come Martin Luther King. Personalmente, nei miei esordi come obiettore di coscienza ho avuto la fortuna di trarre ispirazione da personalità autorevoli come Antonino Drago e Giuliana Martirani. Ecco perché la prima aggregazione nonviolenta a Napoli ha visto per molti anni un impegno coordinato della L.O.C. (Lega degli Obiettori di Coscienza) con lo stesso M.I.R. Ero in servizio presso la Casa dello Scugnizzo, presieduta dal suo profetico fondatore Mario Borrelli, quando all’interesse per la ricerca sociale si è intrecciato quello per la ricerca sulla pace, istituendovi la prima organizzazione italiana, l’I.P.R.I. (Italian Peace Research Institute) e coniugando così l’azione sociale dal basso con quella per il disarmo e la difesa nonviolenta.
Il M.I.R. – che dal 2017 ha ripreso la sua attività a Napoli con un’assemblea pubblica proprio sul rilancio del disarmo nucleare – è stato costantemente impegnato sui principali temi del pacifismo nonviolento che, come recita il suo Statuto, vede appunto i suoi associati: “impegnati nel praticare la nonviolenza attiva come stile di vita, come mezzo di riconciliazione nella verità e di trasformazione personale, sociale, economica e politica”. Puoi parlarcene?
Oltre che nella tradizionale campagna a sostegno dell’obiezione di coscienza ed a tutela di tutte le forme di opposizione al militarismo ed alla guerra, il M.I.R. si è impegnato in quelle per il bando totale alle armi nucleari e, più in generale, per un disarmo accompagnato da un modello alternativo di difesa, non armata, civile, sociale e nonviolenta. La sua azione – attraverso le sue sedi e gruppi territoriali ma anche a livello transnazionale mediante l’I.F.O.R. – ha spaziato anche in altri ambiti, quali l’educazione alla pace e alla nonviolenza attiva, la tutela dei diritti umani ed il contrasto alla militarizzazione delle scuole e delle università. È stato poi coltivato anche un collegamento ecumenico con le altre organizzazioni di matrice spirituale che agiscono in base al trinomio pace, giustizia e salvaguardia del creato. Personalmente, infatti, credo di aver dato un impulso soprattutto verso un complessivo progetto ecopacifista, sul quale il M.I.R. ha pubblicato con le edizioni Gruppo Abele un utile opuscolo (“La colomba e il ramoscello”). Recentemente con mio libro “Grammatica ecopacifista” (Pisa, Centro Gandhi, 2023) ne ho approfondito le dimensioni sul piano della comunicazione, dalla demistificazione dei linguaggi antiecologici, ostili e bellicisti che sempre più invadono i mass media, fino alla proposta di modalità comunicative empatiche, ecologiche e nonviolente.
Credi che la drammatica situazione ed il clima che stiamo vivendo ci costringano a stigmatizzare le sempre più preoccupanti tendenze imperialiste, autoritarie, repressive e guerrafondaie che stanno affiorando, ma anche a fare un’onesta analisi della influenza decrescente del movimento pacifista e disarmista in questi ultimi decenni?
Premesso che il movimento pacifista ha senz’altro risentito negativamente della conclusione dell’esperienza del servizio civile alternativo degli obiettori di coscienza (che aveva mobilitato circa 200.000 giovani e stimolato la creazione di un modello di difesa alternativa), è pur vero che i movimenti antimilitaristi non sono ancora riusciti a coagulare intorno a sé forze nuove, con proposte innovative ed in modo coordinato. Non possiamo nasconderci, infatti, il rischio che – pur in presenza di lodevoli esperienze di collegamento organico, come quello promossa nel 2020 dalla Rete Italiana Pace e Disarmo – negli ultimi tempi sembra essere venuta meno la capacità di attirare l’attenzione e l’impegno attivo dei giovani, e non solo, su temi fondamentali come l’alternativa alla difesa militare ed un’aggregazione nonviolenta dal basso, per diventare protagonisti di un profondo e radicale cambiamento della società. Bisogna quindi organizzarsi più e meglio per ‘contaminarla’, seguendo strade nuove in questo mondo tecnologico e mediatico, ma soprattutto evitando di chiudersi in atteggiamenti ed iniziative autoreferenziali.
Quali sono le istanze prioritarie che dobbiamo perseguire e a cui dobbiamo rispondere in questa grave congiuntura e fase storica?
Alla domanda sulle priorità da perseguire in questa fase, da ecopacifista posso solo rispondere che la gravissima crisi ecologica, insieme con l’assurdo moltiplicarsi di sanguinosi conflitti armati, ci stanno mettendo di fronte ad interrogativi più che mai evidenti e pressanti. E in effetti il saccheggio delle risorse del pianeta ed il ritorno di preoccupanti tendenze imperialiste e belliciste sono le due facce di un perverso modello di sviluppo: predatorio, iniquo e violento.
Mai come in questo travagliato periodo, dunque, subentra il bisogno di fare e diffondere nuovi ‘esperimenti con la nonviolenza’.
Sì. Certamente. Opponendoci con l’obiezione, la non-collaborazione e la resistenza nonviolenta alle stragi ed alle devastazioni provocate dal complesso militare-industriale. Dobbiamo poi risultare più credibili, attivi, coinvolgenti ed unitari nei confronti di chi non parte dai nostri presupposti, portando ovunque e in tutti i terreni la nostra capitiniana ‘aggiunta nonviolenta’.
Laura Tussi
Anche su Italia che cambia