martedì 2 luglio 2019 - Riccardo Noury - Amnesty International

Eritrea, repressione senza frontiere: la lunga mano del regime contro la diaspora

Winta Yemane, nata in Italia e orgogliosa delle sue radici eritree, ha aderito al Fronte popolare giovanile per la democrazia e la giustizia (l’ala giovanile del partito unico al potere in Eritrea) quando frequentava le scuole superiori.

Nel 2011, ha partecipato alla conferenza annuale a Oslo, in Norvegia. Quando ha preso la parola esprimendo l’auspicio in una Costituzione, nel rispetto dei diritti umani e nell’indipendenza del potere giudiziario, si è trovava rapidamente dalla parte opposta agli alti rappresentanti del governo che prendevano parte all’incontro.

 

“Dissero che ero una vittima della disinformazione della propaganda occidentale e dei nemici dell’Eritrea. Dei miei commenti non si doveva tener conto perché ero minorenne. Tre degli organizzatori tentarono pure di espellermi dalla conferenza”, ricorda Winta.

Tornata a casa a Milano, ha subito azioni di stalking per due settimane, ricevendo minacce di morte telefoniche da numeri sconosciuti e subendo una campagna diffamatoria sui social media.

Molti altri eritrei, tra i quali il direttore degli Avvocati eritrei in esilio Daniel Mekonnen e padre Mussie Zerai (nella foto), il prete cattolico candidato al Nobel per la pace nel 2015 per il suo impegno in favore dei migranti, hanno subito attacchi e intimidazioni del genere.

Quelle di Winta e padre Mussie sono solo due delle storie raccontate da Amnesty International nel suo rapporto “Eritrea, repressione senza frontiere”.

Il rapporto è la sintesi delle ricerche svolte dal 2011 al maggio 2019 dall’organizzazione per i diritti umani sulle minacce di morte, le aggressioni fisiche, la diffusione di notizie false e le molestie online con cui gli eritrei della diaspora vengono presi di mira da rappresentanti e sostenitori del governo dell’Asmara, tra cui spiccano per devozione alla causa i militanti dell’ala giovanile del Fronte, incaricati di operazioni di spionaggio.

Per molti difensori dei diritti umani, la fuga dall’Eritrea non ha significato affatto il distacco dalla repressione, a causa della quale molti di loro sono morti proprio mentre cercavano di allontanarsene. Devono costantemente guardarsi le spalle e controllare ogni parola che dicono, impauriti dalla lunga mano del governo eritreo che si estende ben oltre le frontiere.

Secondo le ricerche dell’organizzazione, gli stati in cui i difensori dei diritti umani eritrei corrono i maggiori rischi sono Kenya, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Svezia e Svizzera. Ma anche l’Italia non è un paese sicuro.

Questo trattamento, comunque, non è riservato solo agli eritrei.

Il 30 novembre 2018 l’ex direttore di BBC Africa Martin Plaut è stato attirato a un incontro con una “fonte eritrea” alla British Library di Londra. Qui, gli è stato rovesciato addosso un secchio contenente liquido ed è stato definito “traditore” a causa delle sue inchieste giornalistiche sui diritti umani in Eritrea.

L’ambasciatore eritreo in Giappone, Estifanos Afeworki, ha poi pubblicato un tweet esprimendo apprezzamento per l’azione.

Un comportamento davvero istituzionale!




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