giovedì 29 ottobre 2020 - Enrico Campofreda

Erdoğan e la benzina di Charlie

Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi recita un libretto del Belcanto, categoria occidentale che magari l'ultimo sultano memore delle ottocentesche Tanzimat e della rincorsa ai modelli europei, avrà, forse, apprezzato.

 La Turchia attuale, meno laica e nostalgicamente ottomana, ha forse poco senso dell’ironia rispetto ad altre fasi del suo passato. Però dell’Erdoğan sbracato in poltrona in mutande, che l’ultima vignetta di Charlie Hebdo definisce ‘molto buffo’ mentre drinka, solleva il chador d’una musulmana osservandole il posteriore nudo ed esclama “ouuuh! Il profeta!”, offre l’ennesima conferma del delirio di questo gruppo kamikaze della satira. Probabilmente il punto di non ritorno nella redazione del settimanale parigino è rappresentato dalla strage subìta dal suo nucleo storico barbaramente assassinato dal commando jihadista dei fratelli Kouachi. Cosicché incuranti di tutto e tutti, e soprattutto convinti che la satira debba colpire a 360°, i vignettisti ‘libertari’ si sfogano anche con strisce di dubbio gusto. Anche per i senzadio occidentali. Stavolta il bersaglio principale è l’odiatissimo, non solo da loro, presidente turco. Un fante, salito molto in alto, dunque passibile di presa in giro, perché lontano da misticismo, pur reputandosi ossequioso fedele dell’Islam. Peccato non sia l’unico colpito dalla striscia satireggiante. Ancora una volta viene derisa la figura del profeta islamico, lì metaforizzato come ciascuno può osservare. In aggiunta si schernisce una figura femminile, ben oltre l’abito che veste. L’uso della parte anatomica della donna propone un machismo becero che incredibile a dirsi, uscirebbe (sarà così?) dal pennarello di tal ‘Alice’. I più avveduti ribadiranno che la satira vola ben oltre i generi, dunque la vignettista-donna può scherzare sui tratti anatomici al di là dei sessi. Sarà, ma non è questo il punto. Restano, accanto alla questione del buon gusto, due fattori incredibilmente destabilizzanti.

Quello della provocazione religiosa, nuovamente contro Maometto, dell’offesa a un capo di Stato, che certo si può contestare e deridere poiché appartiene al mondo dei fanti, seppure d’alto rango. Per chi tiene al protocollo – e i caricaturisti ovviamente s’autoescludono – l’oltraggio alle alte cariche d’una nazione diventa vilipendio, come lo è quello a una confessione, considerato poi dai chierici e dagli stessi fedeli una blasfemia. Infine l’attacco di genere è sessismo. Nella vignetta firmata Alice c’è un po’ di tutto, e il bersaglio Erdoğan, trova pane per i suoi denti. Al leader turco che ha fatto della politica - interna ed estera - un terreno di accumulazione di potere, la strategia di cercare nemici per rafforzarsi piace da morire. In più abilmente utilizza la sua funzione nel proporsi difensore di qualcosa. Naturalmente del mondo islamico, della sua gente, di profughi e rifugiati, del popolo turco, dei valori di patria, ultimamente di ‘patria blu’, e della grandezza d’un passato nazionale e imperiale. Negli ultimi anni il suo discusso e discutibile ruolo politico è stato spregiudicato, alla stregua di altri autocrati che manipolano eventi e crisi, per giocare una cinica partita di potere. Eppure l’Occidente che gli si oppone ha commesso e commette errori di valutazione e peccati di vario genere soprattutto sul fronte geopolitico. La Francia in primis, da Sarkozy a Macron. Alcuni presidenti e premier sembrano goffi giocatori di scacchi costretti a subìre umiliazioni dal proprio pressappochismo tattico. Poi, a incrinare ulteriormente la linea dell’Eliseo interviene l’Hebdo con la sua irriverenza egotista, che chissà per quali ragioni viene difesa dalla politica francese come fosse l’étendard sanglant contro la tirannia. Quella di Erdoğan la conoscono in molti, ma la Francia della caricatura e della politica paiono dargli una mano. 

Enrico Campofreda




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