venerdì 29 aprile 2022 - Enrico Campofreda

Erdoğan-bin Salman, un vantaggioso abbraccio

Dalle foto l’abbraccio risulta meno caloroso di altre occasioni, però c’è stato, chiudendo tre anni e mezzo di contrapposizioni e tensioni, almeno sulla carta. Ha unito in un corpo solo Recep Tayyip Erdoğan e il principe bin Salman con buona pace della consorte turca del defunto - perché assassinato - Jamal Khashoggi.

 La vicenda del giornalista, un tempo vicino alla casa saudita, quindi suo feroce oppositore tanto da dover riparare Oltreoceano per non finire in galera, aveva scosso il mondo e offeso la Turchia. L’uomo entrò il 2 ottobre 2018 nella sede del Consolato saudita di Istanbul per ritirare documenti del suo divorzio che sarebbero serviti per il matrimonio con la cittadina turca Hatice Cengiz. Da quel luogo non sarebbe più uscito. In più la polizia di Ankara ricevette, da fonti rimaste sempre anonime, indicazioni di un efferato omicidio. Una squadra di mukhabarat e specialisti forensi sarebbe volata da Riyadh a Istanbul, raggiungendo il consolato mentre Khashoggi era all’interno. L’avrebbe aggredito e smembrato sotto la direzione di Muhammed al-Tubaigy, specialista prima che di sezionamenti di truculenti omicidi, con divisione del corpo in valigette e cremazioni in loco coperte da strani barbecue di cui parlarono cittadini che vivevano nei pressi della sede diplomatica. Insomma una storia d’orrore e un intrigo senza pari. Ma i sospetti, diventati addebiti da parte turca contro la petromonarchia, che alimentarono polemiche e rottura di relazioni, non furono mai provati. Certo, il Mıt (l’Intelligence turca) sosteneva di possedere registrazioni vocali dell’atroce supplizio patito dal giornalista, ma nessun tribunale interno o transazionale approfondì la vicenda. In seguito funzionari sauditi parlarono “d’un interrogatorio finito male”, smentendo di fatto il principe che aveva dichiarato come Khashoggi fosse uscito dal consolato sulle sue gambe. Il tempo ha sgonfiato le polemiche, la pandemia di Covid ha tenuto per alcuni mesi i leader mondiali chiusi nei Palazzi, evoluzioni e involuzioni geopolitiche propongono nuovi scenari connessi all’incubo che spesso ne determina le scelte: l’economia.

Quella turca ha vissuto tempeste non da poco, con scelte orientate direttamente dal presidente in opposizione ai ministri delle Finanze, ne sono susseguiti quattro in pochi mesi. L’ultimo Nureddin Nebati, è un fedelissimo di Erdoğan e lo lascia fare. Così per frenare un’inflazione più che galoppante la Banca Centrale di Ankara ha continuato a tagliare i tassi d’interesse, in opposizione alle tradizionali teorie in materia. Il sostegno governativo alle perdite dei singoli risparmiatori, oltre al carovita che erode le tasche dei cittadini anche sui beni di prima necessità, può alla lunga far collassare le casse statali. Eppure il leader islamico prosegue sulla sua linea di condotta cercando di giungere alla scadenza elettorale naturale nel giugno 2023, la data del centenario della Turchia moderna, che lui insegue dall’inizio della carriera politica per un’auto incoronamento a padre della patria. Davanti a sondaggi interni che danno il suo partito ed egli stesso in forte ridimensionamento, Erdoğan si rilancia con la politica estera che, se rivolta ai ricchi Stati redditieri del Golfo, possono fruttare quei fondi e sostegni volti a corroborare le finanze turche. Dopo il riavvicinamento agli Emirati Arabi Uniti compiuto a fine 2021, che fruttava dieci miliardi di dollari d’investimenti strategici e cinque miliardi per le riserve interne, l’abbraccio di ieri porta altra liquidità alla malandata situazione turca. Senza nulla togliere a quanto s’è consolidato da oltre un decennio: gli ottimi rapporti con l’Emiro al-Thani, signore del gas, dello sport, di eventi mercantili e mondani, molto prima della ‘Vision 2030’ di MbS. Da parte sua quest’ultimo, per quanto scaltro e fantasioso, non può permettersi di rimanere isolato fra i vicini e in un mondo che corre. La tensione politica che aveva allontanato il solvente turismo saudita dalle coste turche e i manufatti di Ankara nel Golfo rappresentava uno svantaggio per entrambe le economie. Dietro il recente abbraccio albergano, accanto a una rinascita di hotel e resort, energia, infrastrutture, armi, sanità. L’anima di Khashoggi può riposare in Paradiso, nessuno pensa più a chi l’ha fatto volare lì. In netto anticipo. 

Enrico Campofreda




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