mercoledì 12 luglio 2023 - Enrico Campofreda

Erdoğan: apertura sulla Nato e rilancio per la Ue

E’ negli odierni passi internazionali, preparati nei successivi cinquanta giorni da una conferma presidenziale nient’affatto scontata, che Recep Tayyip Erdoğan mostra alla nazione turca prima che al mondo la bontà della scelta elettorale. Cosa avrebbe fatto al suo posto il candidato Kemal Kılıçdaroğlu? Non solo niente di più riguardo a Nato e Alleanza Atlantica, ma molto meno sul fronte decisionista perché il suo peso, non ponderale bensì politico, sarebbe stato quasi inesistente.

 Kılıçdaroğlu chi? avrebbe chiesto più d’un capo di Stato riunito oggi a Vilnius, e non per spocchia o mancanza di rispetto. Messo così il confronto a posteriori fra i due pretendenti alla 14^ presidenza della Turchia moderna sembra impari e fin troppo scontato, fra l’altro indicherebbe la via obbligata a uno status quo, impossibilitato a cambiamenti. Però nella testa dei turchi fedeli a quanto finora visto e al più dubbiosi sul presente e futuro riguardo a inflazione ed economia, dev’essere prevalso il realismo politico che fa del Paese ponte fra Oriente e Occidente un elemento indispensabile per una geopolitica ingarbugliata ma interconnessa. Chi vorrà sostituire Erdoğan alla guida, oltre a risultare strutturato per varie soluzioni politiche, dovrà conquistarsi un pari appeal globale per capacità e furbizie diplomatiche e relazionali. Non è affatto il panegirico del Sultano. E’ una visuale aperta sul ruolo che talune nazioni e chi le guida possono avere nel mondo, non contro il mondo. In tal senso Erdoğan è un autocrate che riesce a parlare al suoi e ad altri popoli, anche a quelli che non lo amano. Come gli svedesi aperti, finora all’accoglienza di migranti e rifugiati, ed esposti alle ire del leader turco per la loro bontà verso gli attivisti kurdi, e per questo puniti col diniego all’adesione di Stoccolma alla Nato. La Turchia, tuttora membro fondamentale dell’Alleanza bellica nel Mediterraneo e non solo, poneva il veto, che è previsto dal regolamento.

Il cambio d’opinione e il via libera sancito con calorose strette di mano fra Erdoğan e il premier scandinavo Kristersson, davanti a un finalmente rassicurato Stöltenberg, si porta dietro il rilancio di riapertura del capitolo di ammissione della Turchia nella Ue, bloccato da oltre un decennio, dunque ben prima del riacceso conflitto interno coi kurdi e la generalizzata ondata repressiva. Era, e probabilmente continua a essere, la Germania a ostracizzare l’ingresso turco nell’Unione, magari supportata dalla Francia, ben oltre i voleri dell’ex cancelliera Merkel e dell’attuale presidente Macron. Non è assolutamente un segreto che il binomio franco-tedesco abbia da trent’anni la regìa degli orientamenti dell’Unione Europea e che Ankara coi suoi 83 milioni di abitanti, un’intraprendenza imprenditoriale e un’invidiabile capacità produttiva, una volontà di protagonismo non solo politico, rappresenti un elemento di disturbo per l’asse Berlino-Parigi. Certo, la Turchia a trazione erdoğaniana è anche una variabile con poco controllo da parte del grande suggeritore della politica Ue che è la Casa Bianca, e meno timore dovrebbe destare per la crisi economica che l’attanaglia dai tempi del Covid, ma non causata dalla pandemia. L’Erdoğan che ricopre dal 3 giugno scorso il secondo mandato presidenzialista ha già rivisto le follìe finanziarie contestategli da economisti in casa e all’estero. Ha risposato l’ortodossia monetaria da cui s’era allontanato e ha predisposto un rialzo dei tassi d’interesse (dall’8.5% al 15%). Ora l’inflazione scenderà, aumenteranno i prezzi delle merci, ma la lira limiterà le copiose svalutazioni dell’ultimo triennio. L’equilibrio economico resta un fattore di rischio, i ceti medi tenderanno a spendere meno e questo può incrinare la popolarità delle promesse elettorali del presidente, che per limitare la disoccupazione deve sperare in un afflato d’investimenti da parte di aziende estere, cui garantisce forzatamente sicurezza e pace sociale. L’attrattiva poi dipende dalle stesse relazioni mondiali che passano per la Nato, per le trattative sulla pace in Ucraina, per la soluzione di crisi alimentari come l’accordo per l’esportazione dei cereali dei campi dell’Est. Comunque nel “Casinò mondiale” Erdoğan tiene il banco, più di Biden, Putin, Xi.

 




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