venerdì 24 febbraio 2023 - Enrico Campofreda

Emirato afghano, fuori dall’isolamento con l’Af-Pak

 “Molti politici occidentali temono che gli elettori non accetteranno l'idea che le loro tasse aiutino un Paese governato da un regime odioso” dice un recente rapporto che tratta la delicata vicenda del sostegno economico alla popolazione afghana governata dai taliban. 

Se nei primi mesi dalla proclamazione dell’Emirato gli aiuti erano scemati per le stesse ragioni politiche che bloccavano i conti esteri di quello Stato (i famosi 9.5 miliardi di dollari congelati nelle banche statunitensi), la crisi nutrizionale e umanitaria aveva riportato un po’ d’ossigeno attraverso l’operato di varie Ong. I rinnovati soprusi dei nuovi dignitari di Kabul sui diritti umani e di genere con l’impedimento all’istruzione per le allieve delle superiori, l’estensione del divieto anche alle studentesse universitarie, il blocco del lavoro femminile, l’impossibilità per le donne di uscire di casa senza la presenza di un maschio di famiglia e ulteriori sopraffazioni che rendono vana un’esistenza dignitosa, rilanciano la volontà del blocco dei finanziamenti. Ma serve a poco attribuire le chiusure oscurantiste alle convinzioni personali del leader dei turbanti Hibatullah Akhundzada. Di fatto, come accadeva per la carenza di alimenti, a soffrire dell’azzeramento degli aiuti è la popolazione. Cancellare progetti di sostegno a gruppi di lavoro femminile e a nuclei d’istruzione significa penalizzare gli strati deboli senza colpire affatto il potere talebano. Non riconoscerne l’ufficialità governativa non porta a un loro isolamento né politico, né economico. Sorvoliamo su quanto gli analisti d’Intelligence sostengono da mesi: mentre la politica occidentale afferma d’isolare l’Emirato proseguono incontri e rapporti fra la Cia e i vertici taliban in funzione anti Isis Khorasan. Ora arrivano le mosse pakistane. Una delegazione di Islamabad è stata ricevuta ieri in pompa magna a Kabul. L’intento è porre fine a mesi di contrasti, anche violenti, sul confine e prospettare supporti finanziari partendo dal tema della sicurezza. L’incontro è stato gestito dal gran maestro della diplomazia dell’Emirato, il mullah Baradar, che ha amenamente colloquiato con Khwaja Asif, ministro della Difesa pakistano.

In riunione c’erano anche il tenente generale Nadeem Anjum per le Forze Armate e il direttore generale dell'Inter-Services Intelligence. Insomma il Pakistan che conta. Il balletto delle buone intenzioni ha ruotato attorno al tema dei Paesi vicini che dovrebbero andare d'accordo, si è parlato dei valichi di frontiera che nei mesi scorsi ciascuno apriva e chiudeva a piacimento non senza usare sparatorie e provocare vittime. Forse da oggi il registro cambierà, molto ruota attorno a cosa e chi transita nei valichi. Merci sicuramente, ufficiali come derrate e materiali per l’edilizia, ma anche articoli speciali (oppio) e particolari (armi), che non vengono esposte sui comunicati stampa, e chi muove tutto ciò. I signori del business - barbuti o meno - gli affaristi prossimi ai governanti d’ogni sponda e le lobbies citate che si detestano però non si ostacolano pubblicamente. Più scottante la vicenda dei Tehreek-e-Taliban Pakistan, amici dei talebani d’oltreconfine e spesso riparati lì nei momenti più acuti di conflitto con lo Stato che li ha messi fuorilegge. Ora un ministro di non poco conto a Islamabad, Bilawal Bhutto-Zardari, che controlla il dicastero degli Esteri dichiara che la "minaccia di sicurezza emanata dall’Afghanistan ha rappresentato la questione più importante nella regione”. Eppure questo ministro e il suo partito (Partito Popolare Pakistano) non condizionano l’operato dell’attuale premier di cui è alleato, né le strizzate d’occhio ai fondamentalisti che sia la Lega Musulmana-N, sia il Pakistan Tehreek-e Insaf hanno praticato negli ultimi tempi. Proprio l’ex premier Khan, rimessosi dalla ferita dell’attentato-avvertimento dei mesi scorsi, sta rilanciando le piazze col "Jail Bharo Tehreek" una protesta non violenta (almeno nelle intenzioni) che può riempire le carceri di attivisti dei diritti, a loro dire, violati. “Non abbiamo paura di andare in prigione. Abbiamo migliaia di volontari desiderosi di rinunciare alle loro libertà personali”. A che pro? Per mettere in difficoltà l’esecutivo che l’ha esautorato o per lanciare sin d’ora la prossima campagna elettorale. Intanto l’Af-Pakistan torna d’attualità e non regna solo nella testa della galassia talebana. 

Enrico Campofreda, 23 febbraio 2023 

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