Emanuela Orlandi, un caso di cronaca nera che i media hanno trasformato in un affare di Stato
Un enorme palcoscenico mediatico. Questo è diventato il caso di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana sparita a Roma nel 1983. Un teatro pieno di rivelazioni che di clamoroso non hanno nulla, perché nulla è verificato. Ma ai media tutta questa pantomima non interessa. Si ha ormai la certezza che più che cercare la verità sulla sparizione della giovane studentessa di musica si voglia solo mandare avanti una fiction con puntate una più noiosa dell'altra.
E da quella lontana a caldissima estate del 1983 che i media si sono avventati come degli avvoltoi su un mistero che non trova soluzione, con al centro il Vaticano, il “male assoluto”, chiamando in causa papi, cardinali, vescovi, arcivescovi, monsignori, preti, sacerdoti, chierichetti, tutti sospettati di pratiche pruriginose, di riti satanici, di messe nere, di festini hard con al centro minorenni che andavano e venivano dal Vaticano, nella più totale distrazione degli agenti del Kgb che non aspettavano altro per sputtanare la Santa Sede agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.
Pur di attirare lettori e telespettatori e far cassa con le vendite, i media hanno tramutato un caso di cronaca nera in un affare di Stato. Un intrigo internazionale dalle mille sfaccettature. Un giallo destinato a rimanere tale se tutto il clamore che si è sollevato intorno al dramma di questa ragazza di 15 anni, figlia di un dipendente del Vaticano, non fosse frutto di una perversa spirale mediatica che non accenna a diminuire solo perché il mistero Orlandi è un piatto troppo appetitoso per essere mollato, con un pubblico troppo ammalato di misteri per essere abbandonato.
Eppure, i primi magistrati che si occuparono del caso Orlandi avevano preso in esame lo scenario purtroppo più realistico quando sparisce un’adolescente: uno stupro, con tanto di delitto e occultamento di cadavere, con fondate possibilità che la vittima conoscesse il suo carnefice. La prima fu Margherita Gerunda che si disse convinta che Emanuela fu violentata e uccisa dopo essere stata attirata in un agguato. Sulla stessa linea di pensiero fu anche il magistrato Domenico Sica, secondo cui dietro la scomparsa di Emanuela si nascondeva una storia con “un adulto molto vicino alla ragazza”. Perfino Gennaro Egidio, avvocato storico della famiglia Orlandi, ne era convinto: “I motivi della scomparsa della ragazza sono molto più banali di quanto si è fatto credere finora. Emanuela rapita per essere scambiata con Ali Agca? Ma no. Ripeto. La verità è molto più banale, ma non per questo meno amara”.
Non furono creduti, anzi furono ignorati dai media che hanno preferito mescolare nel torbido, avventurandosi in teoremi che hanno fatto la fortuna di quelli che il magistrato Giovanni Malerba definì una “una pletora di mitomani, visionari, radioestesisti, sensitivi, medium, veggenti, truffatori, sciacalli, detenuti e latitanti” già nella requisitoria del 1997. Dal giorno in cui Emanuela Orlandi fece perdere le sue tracce sul Corso Rinascimento, dopo essere uscita da una scuola di musica, stampa e televisione hanno fatto a gara a chi le sparava più grosse, creando un pentolone dentro cui ficcarci di tutto: Ali Agca, i lupi grigi, la Stasi, la pista bulgara, la pista turca, la pista inglese, la banda della Magliana, Enrico De Pedis, l’immancabile Paul Marcinkus, lo Ior, il Banco Ambrosiano, i prelati porconi. Mancano solo i massoni e gli Illuminati e il campionario delle delle cospirazioni planetarie può dirsi completo.
I giornalisti che si sono occupati del caso Orlandi sono stati una legione, esibendosi tutti in scoop uno più inconcludente dell’altro. Anni di indagini per rimanere tutti inchiodati al 22 giugno 1983 senza che nessuno di loro facesse mezzo passo in avanti verso la soluzione de caso. Ciò che accomuna questi personaggi è l’aver alimentato la messinscena, l’aver intinto la lingua nell’olio nero dei racconti apodittici e a volte esoterici. Le loro inchieste a volte nascondevano la sincerità di sapere, altre volte celevano mere speculazioni. La scomparsa di una ragazzina di 15 anni è diventato il pretesto per spettacolarizzare un dramma su cui troppo spesso i media speculano alla grande.
Lo stesso Pietro Orlandi sembra ormai interessato più a calcare le passerelle mediatiche che a conoscere la verità su sua sorella, cambiando piste con rivelazioni vaghe e velleitarie. Pietro Orlandi, nel tentativo di mantenere viva l’attenzione su questo mistero, ha cercato di orientare le indagini della commissione parlamentare, suggerendo di focalizzarsi solo su piste recenti e lasciando da parte altre potenziali linee di indagine. Questa strategia solleva interrogativi circa le sue reali intenzioni, portando a una percezione sempre più radicata che le sue aspirazioni siano dirette più verso la notorietà personale che una genuina ricerca delle circostanze della scomparsa della sorella.
La narrazione sul caso continua a fluire, alimentata da notizie incerte o palesamente false, pubblicate solo per assicurarsi un pubblico interessato ai miti e alle leggende metropolitane, con la centro il Potere, compreso il Vaticano, diventato il capro espiatorio per fare ricadere la sparizione di Emanuela Orlandi. Un caso di cronaca nera che i media hanno ingigantito all'inverosimile, tra inchieste velleitarie e programmi suggestivi. Un teatro schizzinoso che ha finito non solo divulgare una narrazione mendace del caso Orlandi, ma ha protetto-seppur indirettamente-il vero colpevole della morte della ragazza che, nascosto nell'ombra è rimasto vivo e impunito fino a oggi.