lunedì 6 marzo 2023 - Enrico Campofreda

Elezioni turche, Erdoğan rischia tutto

La Turchia mantiene il voto del 14 maggio, politiche e presidenziali. E’ la commessa di Erdoğan davanti alle 45.000 vittime del recente terremoto, ai due milioni di senzatetto, ai trentadue miliardi di euro di danni (solo secondo le prime stime) e alle galoppanti polemiche su: condoni, corruzioni amministrative, imprenditoria truffaldina che edifica colossi di cemento carenti di cemento e soprattutto senza seguire direttive antisismiche da quattro anni stringenti.

 Però, al di là di tangenti versate ai politici locali su cui indaga la magistratura con già numerosi arresti, scarse o inesistenti erano state le verifiche dello Stato su quei lavori. L’opposizione l’ha denunciato insieme alla stessa scarsa mobilitazione dell’esercito che nei primi giorni dei soccorsi ha utilizzato solo 8.000 militari, mentre nel disastro, tutto sommato meno disastroso del 1999, i soldati sul terreno squarciato della Marmara erano stati 35.000. E’ un raffronto lanciato da chi allora governava, quel partito repubblicano che raccoglie l’alleanza a sei da scagliare contro islamisti e nazionalisti oggi al potere. Erdoğan, che tanto ha atteso l’appuntamento con l’urna nel centenario della moderna Turchia, così da poter proseguire in caso di vittoria la personale carriera di statista ancorato alla presidenza e di prolungare con l’Akp un controllo dell’esecutivo in atto da ventuno anni, ha valutato più rischioso il rinvio della consultazione rispetto a un riscontro immediato davanti a un orizzonte comunque bollente. Del resto la promessa di ricostruire entro un anno le aree distrutte, può attrarre più consensi in questa fase successiva al disastro rispetto alla scadenza alternativa lanciata per novembre. A fine anno, se poco o nulla verrà fatto, l’illusione e il raggiro risulterebbero palesi. Perciò il presidente rischia tutto. E’ nel suo stile, non sempre votato all’azzardo perché, come accennato, disagi e rabbia dei senza casa potranno crescere nei mesi a venire. Certo, resta la difficoltà nell’approntare seggi nelle aree distrutte: prefetture e sindaci dovranno iscrivere cittadini-elettori senza documenti e senza la possibilità di consultare archivi andati dispersi.

Dovrà intervenire l’apparato statale di cui però c’è chi non si fida proprio nelle zone colpite dal sisma dove maggiore è la concentrazione della comunità kurda, da sempre critica e ostile verso il governo in carica. Nelle mosse che seguono la conferma della tornata elettorale di maggio traspare maretta nella ‘Tavola dei sei’ dell’opposizione. Nel designare lo sfidante al presidente che vorrebbe essere eterno i repubblicani del Chp, Gültein Uysal del Democratic Parti, Temel Karamollaoğlu del Falicity Parti, Ali Babacan di Democracy and Progress Parti, Ahmet Davutoğlu di Future Parti, quest’ultimi due ex ministri e figure di punta del partito di maggioranza da tempo fuoriusciti e diventati fervidi avversari di Erdoğan, hanno approvato la candidatura di Kemal Kılıçdaroğlu, segretario del Chp. Però non avevano fatto i conti con l’ex lupa grigia, la sanguigna leader dell’İyi Parti, Meral Akşener. Lei pone il veto verso il tutt’altro che vivido capo kemalista, già in altre occasioni sconfitto da Erdoğan. Al suo posto propone uno dei due sindaci vincenti alle amministrative 2019, uomini sempre del partito repubblicano, ma giovani e dotati di maggiore presa elettorale. Solo che Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul, ha un contenzioso con la magistratura che gli ha inflitto una condanna di reclusione di quasi tre anni per oltraggio a funzionari pubblici e non potrebbe candidarsi, il suo ricorso è tuttora sospeso. Il sindaco della municipalità di Ankara, Mansour Yavaş, è meno carismatico ma agli occhi della leader dell’İyi Parti, appare più idoneo dello sbiadito segretario repubblicano. Questi pensava di poter direzionare facilmente la ‘Tavola dei sei’ sulla sua persona e l’ha presa assai male. D’altro canto l’Akşener ha una fama d’osso durissimo: lasciò il partito nazionalista, diventato alleato di ferro dell’Akp, perché chiedeva le dimissioni del segretario Bahçeli. Non ottenendole sbattè la porta creando un proprio gruppo. Ricomporre il fronte convincendola non sarà semplice.

Enrico Campofreda




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