mercoledì 26 aprile 2023 - Enrico Campofreda

Elezioni del centenario nella patria turca

Pianifica il futuro in casa, prima che nel Paese, Kemal Kılıçdaroğlu l’anti Erdoğan del ‘Tavolo dei sei’, l’alleanza che alle elezioni del 14 maggio sogna di spezzare il ventennio di potere dell’Akp. Così, per tener buoni i sindaci di Istanbul (İmamoğlu) e Ankara (Yavaş), due vincenti alle amministrative 2019 cui non ha concesso la palma di candidato alla presidenza imponendo se stesso, gli promette un contentino in caso di successo. Rispettivamente la gestione dell’emergenza terremoto e delle politiche sociali.

 Entrambi schivi e allineati accettano e si fanno fotografare al tavolo col grande alevita convinto di battere l’attuale presidente. Nel corso delle reiterate successioni al ministero del Tesoro i sondaggi autunnali davano Erdoğan sotto di parecchie lunghezze. Anche nei primi drammatici giorni del sisma, con migliaia di crolli di edifici che non contavano neppure un decennio e avevano spezzato migliaia di vite, il governo appariva in grave difficoltà. Ma pur fra i ritardi la macchina dei soccorsi, statali e privati, partiva. Ci sono state polemiche e denunce di boicottaggio di Ong estranee all’area governativa, la più famosa AHBAP della popstar Haluk Levent, poi le braccia si sono unite al soccorso, nonostante i numeri dello strazio (oltre 50.000 vittime), quelli della catastrofe (circa 2 milioni di sfollati, di cui la metà bambini), quelli del bisogno per la ricostruzione (40 miliardi di dollari) fanno tremare i polsi. Non ai politici, che da ogni versante promettono una rapida soluzione delle criticità e invitano i turchi a votarli, compresi gli elettori delle tendopoli. Si prevede che più della metà di costoro non lo farà, un fattore che aggiunge incognita a incognita. Perché da una parte si dice che quel voto avrebbe abbracciato la protesta antigovernativa a causa dei mancati controlli e delle collusioni di amministratori locali verso i costruttori senza scrupoli. Dall’altra c’è chi parla d’un recupero dell’Akp grazie alla promessa di avere una casa entro un anno, questo ha affermato Erdoğan per convogliare consensi alla sua rielezione.

Frattanto Toki, Toplu Konut İdaresi Başkanlığı, l’agenzia statale che s’occupa degli alloggi ed è sostenuta dall’esecutivo, fa vanto dei 130.000 palazzi di sua edificazione che hanno mantenuto le fondamenta ben salde nel terreno anche lì, come a Kaharamanmaraş e Hatay, il suolo s’è aperto sotto le scosse di 7.9 gradi della scala Richter. Nella giostra elettorale basata su promesse e meriti acquisiti i duellanti alla presidenza e nel Maclis dovrebbero avere il buon gusto di non attribuirsi la gestione di Toki, che peraltro non è stata sempre proba, perché trattasi d’una partecipata dove manager e tecnici vengono nominati dai governi in carica. Questi, nell’ultimo ventennio, rispondono all’Akp e al patto fra Partito della Giustizia e Movimento nazionalista, ma quando nel 1984 l’agenzia venne fondata quegli incarichi partivano dai premier dell’epoca fra cui c’erano anche repubblicani. Insomma molto dell’odierna Turchia è legata al modello che l’ha preceduta e la polarizzazione, cresciuta in tempi recenti, è un tratto storico della nazione. Sono cambiate sigle e attori non orientamenti, specie riguardo alla sfera economica. Così l’iper attivismo governativo in campo edilizio e di opere pubbliche aveva fondamenta, è il caso di dirlo, durante le scelte liberiste di Turgut Özal. Non solo. Poiché la storia finanziaria è ciclica, fasi espansive e recessive, si succedono da decenni, con tanto d’inflazione, carovita, disoccupazione. Tutto ciò non giustifica il presente con cui l’attuale popolazione fa i conti, ma talune fasi sono state sottoscritte da statalisti repubblicani, liberisti in cerca di nuove vie, islamisti che hanno preceduto Erdoğan. Anche bandiere d’appartenenza, quella alevita di recente sventolata da Kılıçdaroğlu a sostegno d’una minoranza emarginata, hanno già scosso in altri momenti la vita interna. Nel 1978 nella Kaharamanmaraş ora frustata dal terremoto, gli aleviti subirono un terribile strascico di pogrom. Furono sterminati in cento per mano dei Bozkurtlar,  i Lupi grigi, al servizio della Gladio mondiale che organizzava colpi di Stato e stragi. Egualmente venivano assassinati, nel silenzio del kemalismo repubblicano, 230 lavoratori il Primo maggio 1977 a piazza Taksim e svariate centinaia di militanti marxisti per tutto quel decennio. Era una Turchia gendarme Nato, tanto carezzata Oltreoceano. 

Enrico Campofreda

 

 




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