martedì 12 aprile 2022 - Enrico Campofreda

Egitto, storia d’una morte che sa d’omicidio

Scomparso, come tanti, troppi. Ma lui Ayman Hadhoud, membro del Partito dello Sviluppo e delle Riforme era un uomo noto. Nel suo ambiente scientifico e altrove era amato e rispettato per il lavoro di analisi sociale ed economica, e forse proprio per questo motivo inviso alla casta militare che orienta e opprime il Paese.

 Di Ayman si sa che era scomparso lo scorso 5 febbraio. Il fratello Omar era stato informato del fermo da un ufficiale di polizia, l’iniziale luogo di detenzione risultava il Commissariato di Amiriya che fa capo alla struttura della National Security Agency. Ma quando i parenti chiedono informazioni, ufficiali del dipartimento negano la presenza e il passaggio del ricercatore in quel luogo. Così inizia una ridda di affermazioni e smentite sulla detenzione di quest’uomo che fanno venire alla mente le molteplici versioni fornite all’epoca sul rapimento di Giulio Regeni. Il Ministero dell’Interno ha rigettato l’ipotesi di una sparizione forzata, la versione del Dicastero parla di un arresto di Hadhoud nell’esclusivo quartiere di Zamalek, dopo che il portiere d’un residence aveva raccontato che l’uomo stesse cercando di entrare in un appartamento forzando la porta e avesse un comportamento dissennato. Da qui un rapido processo al cospetto di un procuratore e il ricovero in un ospedale psichiatrico per accertamenti. La documentazione presente nell’ospedale in questione - quello cairota di Abbasseya - citava un fermo in corso per Hadhouse a seguito del tentativo di furto di un’auto nella cittadina di Senbellawein nel governatorato al Daqahlia, a ben cento chilometri dalla capitale, una vicenda, vera o presunta, che un pubblico ministero alla stazione di polizia di Nasr City aveva discusso coi familiari del fermato.

Insomma due versioni differenti e contraddittorie, mentre il fratello Omar dichiarava che procuratore e autorità di sicurezza fino a sabato scorso sostenevano di non sapere dove fosse l’uomo. Alcune settimane dopo la sparizione di Hadhouse e la dichiarazione del fermo poliziesco la famiglia era a conoscenza del ricovero presso il nosocomio per 45 giorni. I parenti si sono anche rivolti a Esmat Sadat, capo del partito di cui Ayman era membro. Il fratello Omar ha consegnato al leader una documentazione che è stata girata al magistrato. Inoltre amici della famiglia hanno rivelato che gli Hadhouse hanno richiesto in più occasioni di far visita al ricoverato, ma inutilmente: la richiesta veniva sempre respinta. Fino alla recente telefonata che annunciava l’avvenuto decesso. Uno dei pochi organi d’informazione ad aver diffuso il caso è Mada Masr, mentre il Consiglio Nazionale dei Diritti Umani del Cairo ha tenuto un incontro nel quale ha raccolto le poche informazioni ricevute dagli organi di sicurezza e giustizia competenti. Sul cadavere sarebbe stata predisposta un’autopsia, però non si sa di più e se accerterà realisticamente cos’è accaduto al ricercatore. Intanto la rete informale sui social si dispera e denuncia: queste le accorate domande di un’attivista su Facebook: “Perché? Perché è stato trattenuto? Chi l’ha nascosto e perché? Chi l'ha ucciso? Perché avrebbero dovuto ucciderlo? Perché l'hanno nascosto? Abbiamo saputo solo che l’avevano ricoverato in un ospedale psichiatrico senza ordinanze del tribunale; perché avrebbero dovuto farlo? Ayman era un grande scienziato sociale, un fantastico ricercatore e analista. Il suo lavoro sull'innovazione sociale ed economica è stato sorprendente e basato sulle prove. È stato una risorsa enorme per le comunità accademiche egiziane e internazionali”.

Enrico Campofreda

 




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