venerdì 28 febbraio 2020 - Riccardo Noury - Amnesty International

Egitto, otto prigionieri messi a morte

Questa mattina all’alba otto prigionieri sono stati messi a morte nella prigione di Borg el-Arab, ad Alessandria d’Egitto.

I prigionieri facevano parte di un gruppo di 17 condannati alla pena capitale giudicati colpevoli da un tribunale militare, nell’ottobre 2018, degli attacchi a tre chiese copte e a un posto di blocco della polizia che avevano causato, l’anno prima, 88 vittime.

Quegli attacchi furono sconvolgenti ed è positivo che i responsabili siano stati chiamati a risponderne. Ma un’esecuzione di massa, al termine di un processo irregolare in corte marziale nel corso del quale sono emerse – come riferito dal Fronte egiziano per i diritti umani e dal Comitato per la giustizia – denunce di sparizione forzata e tortura, non è il modo per assicurare giustizia.

I processi in corte marziale sono di per sé iniqui in quanto tutto il personale dei tribunali, dai giudici ai procuratori, è composto da militari in servizio attivo che dipendono dal ministero della Difesa e possono non avere la necessaria formazione sulla procedura e sugli standard relativi all’equità dei processi.

Secondo l’organizzazione non governativa Reprieve, dal colpo di stato di Abdelfattah al-Sisi (luglio 2013) al 23 settembre 2018 vi sono state oltre 2400 condanne a morte (10 delle quali nei confronti di minorenni al momento del reato e 144 esecuzioni. Nel 2019 le esecuzioni sono state almeno 15. Con le otto di oggi, il totale è di almeno 167. 

 




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