martedì 24 gennaio 2023 - Enrico Campofreda

Egitto, dalla fame di libertà alla fame alimentare

Visto che la politica estera, in ogni latitudine, condiziona sempre più i consensi interni anche l’Italietta meloniana si fa grande e potente guardando fuori dai confini. Come faceva otto anni addietro il collega Renzi.

Differenziare le condizioni energetiche di dipendenza dal gas russo create dall’alleato berlusconiano che ha svezzato l’attuale premier, rappresenta l’obiettivo primario di Palazzo Chigi, aggiungendo nel dare-avere con gli interlocutori due ulteriori obiettivi: vendere armi e frenare l’immigrazione. La trasferta egiziana del ministro degli Esteri Tajani rientra perfettamente in questo quadro, poiché il regime cairota ha presunzioni securitarie nella ribollente area libica oltre a essere un partner dell’Ente Nazionale Idrocarburi nell’estrazione di metano dal giacimento Zohr. Dall’incontro col presidente Al Sisi il capo della Farnesina riceve sorrisi e accondiscendenza per consolidare gli affari energetico e militare; quanto alle promesse di efficacia nel controllo delle partenze di profughi dalle coste libiche verso i lidi nostrani non solo si può dubitare, ma si potrebbe a breve constatare ben altro. Già in alcune circostanze sui barconi della speranza e della morte hanno viaggiato degli egiziani, come i compagni di sventura disperati e affamati più di loro. Con la soffocante crisi economica e alimentare che attanaglia la popolosa nazione araba queste presenze aumenteranno esponenzialmente. Tajani si fa bello sostenendo di poter concordare una migrazione legale e controllata. Meravigliosa illusione. La fuga da casa che lavoratori egiziani compivano un ventennio addietro finendo nei cantieri delle petromonarchie in espansione, è terminata da tempo. Sostituiti dai pakistani e cingalesi che hanno ingigantito la corsa verso il cielo di Doha, Abu Dhabi e simili. Il ritorno a casa è risultato ancor più duro, per restrizioni lavorative e della stessa libertà. Sono gli stessi abitanti rivoltatisi contro Mubarak a constatare una situazione addirittura peggiore sotto il megalomane Sisi, un criminale d’aspetto bonario che spinge il Paese nel baratro non solo per fame di libertà, ma per fame alimentare. L’inflazione alle stelle, il valore della sterlina locale che muta di ora in ora, i prezzi in salita da mattina a sera rendono la vita in Egitto un inferno.

Nelle megalopoli come il Cairo ancora di più. Sebbene non si muoia di stenti più per la rete della solidarietà familiare e amicale che per il supporto governativo a prodotti primari calmierati (pane, farina, riso, olio, zucchero), le prospettive risultano nerissime. Sul suo trono Sisi pensa in grande. Continua a far costruire New Cairo, la capitale amministrativa e residenziale, dove collocare istituzioni, apparato e dipendenti garantiti dei ministeri, più manager e affaristi, i colleghi della lobby militare e quelli legata a essi. Mentre milioni di egiziani, tagliati fuori non solo da un benessere fittizio e speculativo, ma da un’esistenza minima basata sull’arte dell’arrangiarsi quotidiano da ambulante, autista abusivo, cambiavalute in nero, tuttofare di città e campagna, rischiano di dover fuggire per sopravvivere. Nonostante i convenevoli e le chiacchiere di Tajani con l’omologo Shoukry, l’Egitto si prepara a essere una nuova terra di migranti della costernazione. Il debito pubblico, incrementato dalla faraoniche opere celebrative del potere militare, e di Sisi sulla sua casta (alla nuova capitale s’unisce il raddoppio del canale di Suez) ha tempi stretti di restituzione. In assenza di liquidità: gli emiri creditori chiederanno appoggi al proprio sogno di supremazia politica regionale (bin Salman) e affaristica (Al Thani, Khalifa bin Zayed), il Fondo Monetario Internazionale avanzerà consensi a proprie condizioni di supremazia mercantile e finanziaria. La vita interna non può che peggiore, anche perché tutti i vizi della lobby militare e della corte dei tycoon servili restano intonsi. Sono costoro a controllare e soffocare qualsiasi alito dell’economia, e nel mondo che cerca guerre anziché pace, anche rendite fittizie come quelle del turismo risultano ampiamente ridimensionate. Ciò che appariva alla rivolta di Tahrir del 2011, è. Con l’aggravio d’una canea repressiva che impedisce non la ribellione, ma la semplice espressione. Secondo lo zelante ministro Tajani questo regime ha fornito “rassicurazioni sulle vicende Regeni e Zaki”. Forse da parlamentare era distratto quando Sisi forniva le medesime “rassicurazioni” ai governi Renzi, Gentiloni, Conte I e II, Draghi. Oppure pensa d’essere diversamente considerato per la sua ineffabile scaltrezza diplomatica. 

Enrico Campofreda




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