lunedì 10 aprile 2017 - Enrico Campofreda

Egitto | L’infinita domenica delle salme

La domenica delle salme celebrata in Egitto, scegliendo data e simboli precisi: un giorno speciale per il mondo cristiano che agita le palme della pace e luoghi di culto di una comunità religiosa di frontiera qual è quella copta, offrono conferme dei nuovi scenari battuti dall’Isis. Se ne discute da tempo: strappare territori occupati per due anni dallo Stato Islamico, produce ritorsioni e aperture di nuovi fronti di guerra. E’ un copione che somiglia ad altre fasi storiche, sottolineano vari analisti, quello attuato agli inizi del terzo millennio dalla struttura madre del terrorismo islamico, quel qaedismo che colpiva nei territori di suo interesse (Medio Oriente) e in casa del nemico occidentale. Tutto ciò riaccade dall’inizio del 2015 con l’attentato alla redazione del Charlie Hebdo primo stadio dell’attacco portato al cuore della vita occidentale che ha avuto, e drammaticamente potrà avere, ulteriori episodi sanguinosi che ne destabilizzano la quotidianità. Ma la struttura del Daesh attacca e s’inserisce in ogni terreno fertile per poterne ricavare adesioni e ingigantirne disorientamento e paura. Dalla Siria, Iraq, Libia, aperti campi di battaglia di conflitti tuttora irrisolti e difficilmente risolvibili, viste le ingerenze e gli interessi dei colossi della geopolitica mondiale, s’aggiungono aree dove instabilità e malcontento risultano cronici e ingigantiti dalle pseudo soluzioni in corso.

Pensiamo all’Afghanistan dei governi fantoccio introdotti e sostenuti dagli Stati Uniti, e all’Egitto diviso fra il desiderio di cambiamento che potesse risollevare le condizioni di disagio e miseria di un’ampia fetta della popolazione e l’incertezza della soluzione del governo islamico presto affossata dal golpe militare di Sisi. Due situazioni che nascondono le grandi bugie dei rispettivi establishment propugnatori d’un processo “democratico” in corso con presunzione di sicurezza e stabilità. Falsità smentite dagli episodi di cronaca, imposti dagli oppositori armati, siano essi talebani o jihadisti locali che proseguono attacchi e attentati, oppure introdotti dal disegno dell’Isis d’inserirsi in ogni crepa dei regimi con cui l’Occidente continua a controllare certi Paesi. Il passo verso l’ennesima sicurezza di facciata annunciato dal presidente Sisi coi tre mesi di stato d’emergenza, che peraltro seguono misure specialissime già in atto dai mesi successivi alla sanguinosa repressione e persecuzione della Fratellanza Musulmana, è solo una sceneggiata. Proprio quel sangue e quella galera hanno fornito una prima manciata di adesioni al jihadismo locale, su cui il brand del Jihad firmato Isis ha potuto mettere le mani, com’è accaduto nelle situazioni di conflitto aperto. Probabilmente anche i più estremi teorizzatori della pratica di morte applicata alla politica, su ogni fronte, considerano il terrore un’arma con cui soggiogare l’avversario non il fine ultimo.

Sebbene la grande Storia, anche recente, abbia offerto smentite. Una su tutte: il nazismo. Il Daesh degli sgozzatori e dei kamikaze deflagratori, è parso appartenere a queste aberrazioni del pensiero distruttivo ammantato di finalità ideali o religiose. Trova, però, appiglio nelle mille contraddizioni del panorama geopolitico internazionale, un sistema che continua a fornire la materia prima per una guerra all’apparenza insensata. Assurda solo a occhi superficiali o colpevolmente complici oppure unilaterali nelle valutazioni, alla stregua dei combattenti della ‘guerra santa’ e dei loro mentori. Perché ciò che accade e continua a succedere attorno a noi, è una trita ripetizione di scelte inadeguate per un’esistenza condivisa fra sistemi economici, ceti sociali, etnìe, fedi. Le iniquità, le marginalizzazioni individuali e collettive rappresentano l’asse portante della collera con cui pezzi di mondo si scontrano. Le stesse religioni, che tanti soggetti e comunità riscoprono e indicano come via di comprensione e dialogo, al di là dei buoni uffici di chi in certe fasi come l’attuale le rappresenta, non sembrano poter incidere né sulle scelte del fondamentalismo e fanatismo offerte dalle fedi medesime o da chi si reputa un adeguato esegeta, né sulle linee strategiche di nazioni e culture ispirate da croci, mezzelune o altro. Anche questo fenomeno non è nuovo, l’umanità ha attraversato periodi bui con le guerre di religione. La fase che viviamo lega vuoti ideali, a certezze radicatissime basate su profitto, sopraffazione, egoismi che fomentano frustrazioni aggressive più che alternative risolutrici.

Enrico Campofreda, 10 aprile 2017

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it




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