lunedì 2 novembre 2020 - Laura Tussi

Educazione e relazioni di potere

Le relazioni di potere compongono una trama plurale, diffusa, trasversale a tutte le relazioni umane e sono direttamente collegate alle possibilità di costruirci in soggetti sociali e storici in trasformazione

Nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza attiva e globale, si è spesso parlato della dimensione politica dell’educazione. Rispetto a ciò, Freire ha sottolineato la sua posizione: “Per me l’educazione è un processo politico e pedagogico. Ciò significa che è sostantivamente politico e aggettivamente pedagogico”.

Il significato del politico fa riferimento alle relazioni di potere che compongono una trama plurale, diffusa, trasversale a tutte le relazioni umane e direttamente collegate alle possibilità di costruirci in soggetti sociali e storici in trasformazione. 

Nell’azione educativa si esercitano relazioni di potere che hanno conseguenze dirette dentro lo sviluppo delle capacità umane o nella loro inibizione.

Qualsiasi educazione, come azione culturale e politica, contribuisce a costruire una determinata cultura, un modo di pensare e sentire il mondo e la vita, un indirizzo intellettuale e morale che preme per imporsi egemonicamente, cercando di ampliare il consenso a partire dalla coscienza etica promossa dagli ambienti organizzati della società civile, intesi nel senso gramsciano della 'cittadinanza attiva'. 

Etica, educazione e politica si costituiscono così, dal punto di vista filosofico, in una triade interdipendente nella quale l’educazione è destinata a essere il fattore dinamico, attivo, creatore e costruttore di soggetti capaci di edificare e creare condizioni di possibilità più umane per gli esseri umani. È per questo che l’educazione e il suo ruolo nella storia sono molto più che insegnamento, apprendimento, sistema scolastico, ragioni, giudizi più che maestri e alunni, norme e regolamenti. È per questo che le ricerche etiche, politiche, pedagogiche delle varie iniziative mirano alla costruzione di un paradigma educativo diverso da quello dominante.

Anche Freire obbliga a ripensare tutta la logica del processo di insegnamento e apprendimento, affermando che insegnare non è trasferire conoscenze, base sulla quale si fonda la sua critica alla concezione materiale dell’educazione. E non è possibile, perché la trasmissione letterale di informazioni non costituisce un evento educativo e non produce realmente una conoscenza. 

Inoltre la conoscenza è un processo attivo, in quanto accediamo a nuove informazioni, sviluppando processi di identificazione, associazione, simbolizzazione, generalizzazione, di affermazione e negazione tra il vecchio e il nuovo. È per questo che a partire dall’educazione concepiamo l’apprendimento come un buon compito creativo, nel quale si costruiscono e ricostruiscono conoscenze, ma nel quale ci costituiamo e ricostituiamo come persone come soggetti capaci di pensare, sentire e fare e trasformare. Ecco perché l’insegnamento non può ridursi solamente a trattare contenuti, ma deve anche portare avanti un ricco, complesso processo in cui si producano le condizioni affinché possiamo imparare criticamente. Dice Freire: “Queste condizioni implicano e esigono la presenza di educatori ed educandi creativi, istigatori, inquieti, rigorosamente curiosi, umili e tenaci… Gli alunni vanno trasformandosi in veri soggetti di costruzione e ricostruzione a fianco dell’educatore anche egli soggetto del processo”.

Generare condizioni per l’apprendimento critico, presuppone un ruolo di impegno integrale da parte dell’educatore e dell’educatrice nel riconoscere che non si posseggono le risposte a tutte le domande e stimolare il senso critico di ricerca, di inquietudine di non-conformismo e anti-conformismo.

È da qui che il ruolo di un educatore democratico viene concepito più come quello di un 'provocatore', piuttosto che come quello di un 'facilitatore'. Quest’ultimo concetto probabilmente ha origine nella ricerca di un’alternativa all’immagine eccessivamente direttiva del ruolo del docente volendo mettere in risalto il suo ruolo di animatore di un gruppo. Pensare come provocatori e provocatrici, presuppone il posizionarci come attori e attrici del processo: cioè soggetti attivi e impegnati con le persone con le quali lavoriamo, con il loro contesto, con tutti i dubbi e le scelte alternative possibili.

Per questo forse la prima sfida viene dal gruppo: sono gli altri che provocano con le loro domande, i loro interessi o disinteressi. Le loro conoscenze, le affermazioni e negazioni a proposito di contenuti su cui lavorare, la percezione che hanno del docente e il suo ruolo e le capacità e i comportamenti, aspettative, parole e silenzi.

La sola presenza di uno spazio educativo è già di per sé una sfida.

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay 




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