martedì 5 giugno 2012 - Riccardo Noury - Amnesty International

Ecuador, la lotta dei Sarayaku per salvare la terra ferita dal petrolio

Le terre tradizionali dei Sarayakuuna popolazione nativa kichwa di circa 1200 persone, si trovano nell’est dell’Ecuador, in piena Amazzonia.

“La vita tra i Sarayaku è fatta di armonia, di libertà e di pace. Siamo uniti” – racconta Noemi Gualinga (a sinistra nella foto, con la figlia), una rappresentante della comunità.

Dieci anni fa, armonia, libertà e pace vennero messe a rischio dal governo, che non aveva consultato la comunità prima di autorizzare la compagnia petrolifera argentina CGC a fare prospezioni sul territorio per valutare l’ampiezza dei giacimenti sotterranei. Generosamente, la compagnia petrolifera offrì 15 dollari a persona per togliere il disturbo…

Attenzione: qui non è in corso una battaglia contro il progresso, in nome di una visione romantica e antimodernista della vita. Sono in ballo le regole del gioco. Secondo gli standard internazionali, i progetti di sviluppo, le leggi e le politiche che hanno un impatto sullo stile di vita delle comunità native devono ottenere il consenso preventivo, libero e informato degli interessati. Come farlo? Attraverso la messa a disposizione di informazioni oggettive, in una modalità loro accessibile e un coinvolgimento, sin dall’inizio, nella fase decisionale.

In assenza di tutto questo, i Sarayaku hanno resistito ma si sono ritrovati quasi una tonnellata e mezzo di esplosivo, sotterrata nel loro territorio, che avrebbe dovuto servire per le prospezioni. Il governo si è rifiutato di rimuoverlo.

In sintesi, i Sarayaku hanno mantenuto la libertà ma al posto dell’armonia e della pace si sono infilati in un turbolento decennio di cause. L’obiettivo era chiamare le autorità ecuadoriane a rispondere della mancata consultazione e ottenere garanzie di non ripetizione di una decisione presa senza il loro consenso.

Coi loro legali (altro che visione romantica, qui ci si difende in punta di diritto!), i Sarayaku hanno portato il caso fino a San José, Costa Rica, sede della Corte interamericana dei diritti umani. La sentenza, su chi ha torto e chi ragione, è prevista prossimamente. Della loro lotta si parla anche in Europa.

“Siamo andati incontro a lungaggini e sofferenze. Quando abbiamo deciso di rivolgerci alla Corte, ci hanno fatto sentire piccoli e insignificanti, abbiamo ricevuto minacce di morte e umiliazioni. Ma non molliamo” – dice con orgoglio Noemi.

Non racconta, ma questo possiamo aggiungerlo noi, che le minacce di morte e la paura che colpissero sua figlia Nina Siren l’hanno costretta a un esilio di quattro anni in Svezia. Ultimamente, tre Sarayaku sono stati feriti da sconosciuti. Avevano preso parte a una protesta contro la costruzione di una pista aerea.

Noemi è certa che la loro lotta alla fine pagherà e potrà ispirare altri popoli nativi, nell’America del Sud e non solo, minacciati da progetti di sviluppo e interessi economici.

Di questa lotta parla “I discendenti del giaguaro”, un documentario coprodotto dai Sarayaku e Amnesty International.

Lo vedremo presto anche in Italia. Intanto, qui, anticipiamo il trailer.




Lasciare un commento