martedì 16 dicembre 2014 - alessandro tantussi

È una questione di rigore non di misura

La dimensione delle pene è ininfluente (come quella del pene...).

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dei delitti e delle pene

I recenti scandali Expo, MOSE e Mafia Capitale hanno dato vita a un’accesa discussione sulla corruzione, che come al solito rischia di risolversi nella trita e ritrita illusione che tutto si possa risolvere con un aumento delle pene.

Una bella manifestazione pubblica del proprio sconcerto su quanto vile sia il crimine, un bel discorsetto contro la piaga della corruzione, una condanna senza se e senza ma, una bella richiesta forcaiola di pene più severe e siamo a posto. Lavata è la coscienza, gratificato il popolo e fatta bella figura. Passata la bufera tutto ricomincerà come prima ecchissenefrega.

Son passati 250 anni da quando Cesare Beccaria spiegò come sulla prevenzione dei reati la certezza della pena avesse più effetto dell’intensità delle stesse: “L'impressione della pena consiste più nella sicurezza d'incontrarla che nella forza di essa

A cosa servono le pene severe se, tra indulti, permessi premio, buona condotta, licenze, sconti di pena ecc. ecc. le condanne definitive si dimezzano e diventano risibili ed incerte? L’effetto deterrente invocato da Beccaria si perde nei meandri di una giustizia forcaiola nella forma e prima del processo, inconsistente nella sostanza e dopo la condanna. Per arginare la corruzione non servono pene più severe, serve l’applicazione concreta di quelle che già ci sono.

E soprattutto servirebbe una seria riflessione sull’inefficienza e sull’opacità delle procedure amministrative, l’inadeguatezza del codice dei contratti pubblici, l’infinita serie di regolamenti che occorre rispettare e che finiscono per scoraggiare gli investitori onesti e favoriscono i malandrini, i quali nella burocrazia ci sguazzano e sanno come risolvere il problema grazie alle bustarelle ed alle mazzette.

La recente sparata di Renzi contro i corruttori e il susseguente provvedimento del CDM che altro non è che un gettare un po’ di fumo negli occhi della gente indignata, che non sa come tirare avanti, ma nel frattempo è costretta a pagar tasse per finanziare la corruzione che si annida dietro la marea di servizi pubblici inutili, inefficienti, costosi e mal gestiti.

Quando il lamento viene da un Presidente del Consiglio, indignarsi e richiedere maggior moralità assume l’amaro sapore di una presa di giro. Il provvedimento del CDM assomiglia ad una “grida” Manzoniana in cui si comminavano pene gravissime a chi minacciava un parroco affinché si rifiutasse di celebrare un matrimonio, salvo poi lasciar correre. Il “dalli all’untore" non basta. La responsabilità penale è personale, ma la vera colpa è politica perché dai tempi di tangentopoli ad oggi le porte delle carceri si sono aperte e richiuse migliaia di volte, ma il nocciolo della questione non è stato nemmeno sfiorato, la corruzione è viva e vegeta. La giustizia terrena, oggi come ai tempi del Manzoni, non funziona, se allora non ci fosse stata la divina giustizia che colpì con la peste, Don Rodrigo sarebbe sempre a piè libero. 

Dobbiamo forse, per avere giustizia, invocare anche oggi un flagello Divino? 



2 réactions


  • (---.---.---.44) 16 dicembre 2014 12:20

    EBOLA...aiutaci tu


    • alessandro tantussi alessandro tantussi (---.---.---.135) 16 dicembre 2014 12:43

      Oddio, meglio sarebbe se ci aiutassero la "ragione" e la "competenza". Se dobbiamo affidarci ad EBOLA speriamo, quantomeno, che colpisca in modo selettivo...


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