Dopo la manifestazione della Cgil - Democrazia Part time
Due milioni, due milioni e mezzo. Comunque tantissimi, un popolo. Non una cosa da nulla, in questa epoca di ritirata delle idee. Un fiume di gente ha detto ieri che vuole contare, che vuole risposte alle domande, che vuole “riagganciarsi” al resto del mondo che questa crisi enorme, epocale, non la sta nascondendo come facciamo noi nel nostro snobbismo da naufraghi. Il resto del mondo, bene o male, con coraggio o con paura, ci prova a mettere in campo il meglio delle energie e del carattere di popoli, solo apparentemente simili a noi italioti. Perché noi ormai siamo una democrazia part time, e un insieme di teste senza memoria. Siamo come i contratti di tanti precari (un popolo ancora): abbiamo una data di scadenza.
Non ci illudiamo. Due milioni e mezzo di persone in piazza non sono nulla. Non ci illudiamo e soprattutto non facciamo l’errore di credere che la Cgil sia il nuovo “partito della sinistra”. Non deleghiamo alla Cgil una soluzione che non può e soprattutto non deve assumersi. Non chiediamo questo a chi già fatica, fra mille contraddizioni, a tenere una rotta in questo Paese allo sbando. I partiti non ci sono più, la sinistra, intesa come insieme di organizzazioni, non c’è più. Tutto finito, tutto da rifare. E da quel poco (enormemente poco) che si vede oggi, quel poco che soprravvive grazie ai rimasugli dei fidi bancari ottenuti grazie al finanziamento pubblico dei partiti, non è che si possa continuare a investire su qualcuno che continua ad annaspare in ordine sparso: un ceto politico senza mestiere che, andato a casa, non può e non riesce a reinsirirsi nella società di noi poveri mortali. Una sinistra impalpabile, in ginocchio, disorientata, che non ha più nulla da dire e che in compenso … chiede… chiede… (per favore togliete oggetti appuntiti e corpi contudenti dalla mia portata!)… dico, chiede la benedezione a Ratzinger!!! Ditemi, quanti sono i teodem? Quanti voti sposta la Chiesa? Ditemi per favore che cavolo c’entra la CEI con il PD, con la laicità, con la Costituzione…. con l’Italia!
E’ ora che ci mettiamo l’anima in pace. Conta più il “cappellano” di quei bravi ragazzi di Forza Nuova che Franceschini. Teniamoci leggi primitive, contro le donne, contro la nostra civilità, contro le persone, e dedichiamoci al vodoo sperando che il governo cada solo perchè stiamo riempiendo di spilli un bambolotto con le sembianze di Brunetta. Non funziona?
Berlusconi, come direbbe Marcantonio Lucidi il mio caporedattore, immortalato in un autoscatto nel parossismo di un tripudio di tette siliconate e tacchi da 12 e cravattone con il nodo grosso, ha in mano il Paese, o meglio quello che ne resta. Il Paese assomiglia terribilmente a lui, imprenditore spesso insolvente (come nel caso di alcuni call center a cui non salda le fatture da mesi), venditore di prodotti al limite della scadenza. O come nel caso degli straordinari e delle missioni della catturandi Palermo, a cui non sono state pagate le centinaia di ore di servizio extra fatto al tempo della cattura di Bernardo Provenzano. Tre anni fa. “Dici vero?”, direte voi. “Vero è!”. Guardiamoci nello specchio, vedremo le stesse vanità e la stessa grossolona sicumera. Guardiamoci attorno, e troveremo il deserto. Un deserto di energie consumate, di speranze affidate al tubo catodico (se va bene) e di cambiali per il suv da parcheggiare al centro. Popolo di mattonari con mutui a tasso variabile, idebitati fino al collo ma che non manchiamo una puntata dell’Isola dei famosi. E pronti a fare un bel “buffo” con una finanziaria per conquistarsi il diritto a una settimana tutto compreso in Costa smeralda a fotografare le chiappe dei vip con i nostri inutilissimi videofonini. Se saremo fortunati potremmo fare uno scatto, un po’ fuori fuoco, della dentatura squalesca de ministro della difesa e del billionaire.
E intanto il sud esce dalla democrazia e diventa Stato a sé. La provincia di Caserta potrebbe tranquillamente dichirarsi “Repubblica indipendente dei casalesi”, la Sicilia potrebbe chiedere di diventare il più grande porto franco della storia (e guardate che lo sta già facendo con una leggina velonosa di Tremonti) e divenire di conseguenza la Singapore (modello inizio ‘900) del Mediterraneo. A quando una strada dedicata al grande e indimenticabile sindaco del “sacco” di Palermo don (e sottolineo don) Vito Caincimino? E quando una medaglia al merito a Contrada? E quando un pacheggio multipiano con centro commerciale a via D’Amelio?
E il nord? E il nord a puttane, ovviamente. Chi se ne frega che fra poco terminano le casse integrazioni e nessuno sa dove far rientrare decine di migliai di persone. Chi se ne frega che un monolocale in periferia a Milano in affitto ti costa mille euro al mese e in busta paga (si chiama così anche quando sei in cassa integrazione???) ne hai solo 800. Chi se ne frega degli anziani che frugano nell’immondizia in cerca di avanzi. Chi se ne frega che neanche a nero ti assumono. Su, sorridete! C’è il popolo della libertà e una cravatta con il nodo doppio che non stringe poi così tanto sul “gargarozzo”. Se usi il sapone.
Due milioni e mezzo di persone in piazzza, in un sabato di primavera romano. Un bel vedere. Ma non è come FaceBook che si clicca il pulsante “mi piace” e poi si ricomincia a guardare il Grande Fratello.
Io mi domando perché attorno a me non vedo gente incazzata! Io sono nero! Mi sembra di aver buttato nello scarico 40 anni di vita, di lotte, mestiere, speranze e voti. Quando sento la rabbia di Salvatore Borsellino mi rinfranco un po’. Ma è una magra (anche se dolce) consolazione. Abbandoniamo i nostri rassicuranti monitor per un po’ e torniamo a respirare “la strada”. Ognuno nel suo piccolo. Non cerchiamo il palliativo della comunity dimenticandoci la società. Torniamo, noi artigiani della comunicazione, a consumare scarpe e a raccogliere storie. Tornino le persone a fare politica e non a tele votare un leader. Torniamo a parlare con il nostro vicino di casa, con il fornaio, con il “pizzardone” all’incrocio, con il migrante che vende libri davanti alla libreria. Con l’ossessione della sicurezza, con la paura (infondata) montata in questi ultimi due anni, ci hanno tolto la piazza, le nostre città, la nostra socialità. Discutiamo, scaldiamoci gli animi, annusiamoci. Senza mediatori tecnologici. Riprendiamoci la nostra comunità in mano. Quella fisicaq, reale, e non quella virtuale. E affanculo le comunity autoassolventi! O ricominciamo a fare politica ora o non ci sarà più tempo.