giovedì 12 giugno 2014 - clemente sparaco

Disoccupazione e diminuzione delle nascite

Nel 2013 sono stati registrati all’anagrafe poco meno di 515 mila bambini, numero inferiore al precedente record negativo del 1995 di 12 mila unità.

Le donne italiane in età feconda fanno pochi figli, in media 1,29 per donna (dato ben distante dai 2 per donna che assicurerebbe il ricambio generazionale) e sempre più tardi: a 31 anni in media il primo figlio. La diminuzione delle nascite è perdurante, in Italia, essendo iniziata a metà degli anni ’70, quando ancora nascevano fra i 900 mila e il milione di bambini, ma è significativo che rispetto al 2008 si registri un calo di ben 62 mila unità.

Il dato è, quindi, da mettere in relazione con la crisi economica, che ha messo a dura prova le famiglie italiane. La recessione è finita, ma non la stagnazione, per cui la congiuntura non alimenta la speranza nel futuro e, tanto meno, la voglia di fare figli.

Cresce la disoccupazione che, secondo dati Istat diffusi il 3 giugno, nel primo trimestre del 2014 ha raggiunto il 13,6%, in crescita di 0,8 punti percentuali rispetto allo dello scorso anno. E anche in questo caso si tratta di un record, ovvero del valore più alto dall’inizio delle serie trimestrali, partite nel 1977. Cresce, in particolare, la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, salendo al 46,0% (+0,9 punti). Al sud la disoccupazione vola al 21,7%, raggiungendo tra i giovani il 60,9%.

La grave crisi economica aumenta il numero dei giovani che rinviano la formazione di una famiglia propria. Calano, conseguentemente, non solo le nascite, ma anche i matrimoni. Aumenta il numero dei padri e delle madri disoccupati , rispettivamente 303mila e 227mila (il dato è del 2012).

Tuttavia, non c'è solo il problema della precarietà o mancanza di un lavoro, a deprimere le nascite in Italia, ma anche quello della strutturazione del mondo del lavoro. Oggi in una famiglia è necessario che tutti e due i futuri genitori lavorino, perché altrimenti non ci sono entrate sufficienti. Ma, una volta trovato il lavoro, questo difficilmente si concilia, per i suoi ritmi e le sue esigenze, con la funzione genitoriale. Il carico sulle famiglie è pesante. Il sovraccarico dei compiti domestici e di cura sulle donne è intollerabile. A loro, quasi in perfetta solitudine, sono rimesse la capacità e la scelta di conciliare maternità, cure familiari, lavoro domestico ed extradomestico. Pertanto, ci sono donne che rinunciano al lavoro per la maternità e donne che rinunciano alla maternità per il lavoro.

Secondo dati CGIL relativi alle Marche, il 22% delle mamme non ha un parente cui affidare il bambino, il 18% non ha ottenuto l’iscrizione al nido, l’8% si lamenta degli elevati costi dei servizi nido e baby sitter. Il 2% si dimette per mancata concessione del part-time. Nel 2012 quasi una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita del figlio non ha più un lavoro. 

Si aggiungono poi le difficoltà abitative, la carenza di servizi, il costo economico e sociale dei figli. C’è, in definitiva, un clima sociale assolutamente sfavorevole alla maternità e alla paternità.

Se consideriamo poi l'aspetto politico, ci accorgiamo che appare caratterizzare l’approccio delle politiche di welfare un’oscillazione tra una centralità formalmente dichiarata della famiglia e la sua sostanziale marginalità come soggetto delle politiche sociali. Al richiamo teorico alla rilevanza e alla necessità di una sua promozione si contrappone, infatti, nella prassi, la negazione di tale importanza, il cui segnale principale è quello che potremmo definire "l’inconsistenza" delle politiche familiari.

Sussiste un'inveterata ed anacronistica tendenza a misconoscere la funzione sociale della famiglia. Le risorse destinate sono residuali. Gli interventi si concentrano sui bisogni individuali di bambini, anziani, donne, disoccupati.

A fronte di questo si rivela più che mai urgente promuovere una nuova considerazione della famiglia come soggetto centrale delle politiche sociali, al fine di riconoscerne la specificità delle funzioni e di fornirle un sostegno indiretto, capace di creare un "ambiente" favorevole allo svolgimento ottimale delle funzioni che le sono proprie. Occorrono politiche di sostegno e di promozione, politiche della casa, che aiutino le giovani coppie a trovarne una, politiche fiscali che riconoscano il carico dei figli, politiche dei servizi, che facciano del lavoro non qualcosa che schiaccia la famiglia (e la persona), ma una risorsa che permette di mettere su famiglia.

 

 

Foto: Germana/flickr




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